lunedì 14 marzo 2011

lo scarto tra essere e dover essere

Le questioni riguardanti il tema della giustizia nella modernità sono molto interessanti e coinvolgono profondamente il nesso tra realtà e idea, tra essere e dover essere.

cerco di spiegarmi meglio, le tesi, ad esempio, di Rawls sono condivisibilissime, ed egli riassume in se il meglio del pensiero liberale e democratico che si è esercitato sul problema della giustizia politica e sociale. il suo contrattualismo giunge ad una 'ragionevole' sintesi tra differenza ed egualitarismo fondando l'analisi sul concetto di equità e di buon senso.....

il problema che emerge da queste disquisizioni teoriche, però, non mi pare tanto quello di interrogarci sulla condivisibilità o meno di una teoria così 'sensata' ma, più significatamente, mi appare il seguente:

nel mondo (nel secolo) c'è scarto tra l'idea e la contingenza? e se si è possibile, in terra, una mediazione tra questi due termini?

...preciso meglio: secondo me la realtà che viviamo non è razionale, anzi è il più possibile lontana dalla razionalità perchè l'uomo è spinto non solo dalla logica ma da altri più significativi impulsi egoistici che lo portano a 'creare' il mondo in cui opera attraverso scelte che si allontananno grandemente da ciò che - secondo razionalità e buon senso - 'dovrebbe essere'.

nonostante questo è bene che l'uomo conservi, in privato come in società, consapevolezza di questo scarto e che coltivi il 'dover essere' come un fine a cui tendere, come un metro al quale cercare di uniformare il proprio agire.

il dover essere, in sintesi, opera come 'Speranza', come utopia, come coscienza del proprio limite e delle proprie miserie... senza tale 'sentimento di inadeguatezza' non solo non avrebbe senso il termine religioso 'peccato' ma, addirittura, perderebbe di senso il concetto laico di etica.

la confusione tra realtà e idea, tra essere e dover essere (improntata al più estremo storicismo immanentista, pensiamo all'idealismo hegeliano) ha portato all'indifferentismo morale e al neutralismo politico e sociale incapace di sogni, di speranze e , quindi, di lotte.

lo stesso marxismo che ha piegato la 'speranza di giustizia' inserendola in una costruzione scientifica (di materialismo scientifico parla l'autore del Manifesto) ha 'dialettizzato' il dover essere (la speranza) strappandolo al cielo e inserendolo nella realtà come processo necessario, negando, quindi, lo scarto tra idea e realtà.

che cosa ne è generato? semplice: il socialismo reale, la preminenza del 'progresso necessario' sulle istanze dei singoli, la sottomissione della libertà individuale alla scientificità 'reale e razionale' del Partito.

per nostra fortuna (perchè da ciò deriva il nostro libero arbitrio) la giustizia non appaertiene a questo mondo!!!!

la Speranza, il Sogno, l'Idea, ci appartengono come oggetti di fede e non come realtà presenti; funzionano da spinta al miglioramento ma non saranno mai totalmente raggiunte se non alla fine dei tempi, con la fine della Storia.

saremmo degli gnostici se pensassimo che la salvezza ci appartenesse totalmente come frutto di un percorso mondano e razionale autosufficiente e progressivo ne senso del compimento umano della storia di liberazione.

per fortuna, non tutto possiamo, non tutto è in nostro potere!!

nessun partito, nessuna scienza, nessuna tecnica ci dovrà convincere del contrario, nessuno più dovrà convincere l'uomo, il singolo, che dal preciso riconoscimento di nemici storici, di errori razziali, di classi sopraffattrici, potrà derivare automaticamente - sulla base della identità di ragione e storia - la salvezza del mondo, la Giustizia realizzata, il regno (reich) di pace.

nessuna mediazione in terra è possibile tra giustizia e realtà; ogni contrattualismo sconta il pericolo di astrattismo sperimentale (pensiamo agli uomini 'svuotati' di interessi e vita di Rawls), ogni scientismo sociale progressista sconta il pericolo di un automatismo necessario che stritola i singoli nel suo incedere maestoso ed ogni decisionismo dittatoriale sconta il pericolo di vuoto nichilismo e di occasionalismo.

i cristiani dicono che il nesso tra ideale e reale è stato interrotto dal peccato originale, dal quale è derivato sì il nostro procedere incerto e dubbioso ma anche la nostra libertà; solo una volta, in maniera eccezionale e irripetibile, si è ristabilito il nesso... è l'incarnazione di Cristo che ha fatto irrompee di nuovo l'Eterno nel Tempo.... da allora noi coltiviamo tale 'mediazione' come memoriale, come realtà del cuore e della fede ma non del mondo... siamo vincolati a tale 'mediazione' come ad una sequela impossibile, come ad un esempio irripetibile... e, comunque, dobbiamo stargli dietro, dobbiamo continuare a sognare la giustizia, a lottare per essa.. sapendo, però, che la salvezza non è nelle nostre mani.

rinunciare alla 'sequela impossibile' equivale, per me, all'orgoglio di chi ha immanentizzato la salvezza e la giustizia; entrambe le opzioni 'teologico-politiche', infatti, hanno l'effetto di risolvere facilmente il problema del 'nesso'.

più difficile è accettare, introitare l'aporia, mantenersi in bilico tra realtà e spirito e conservare l'autenticità inconfondibile dei due estremi, non risolversi per l'una (la realtà) o l'altra (l'idea) ma farli propri entrambi con i piedi per terra e lo sguardo oltre i tetti delle case.

solo così ha senso interrogarsi sulla giustizia (im)possibile .... ogni altro pensiero totalmente secolarizato si mostra tragicamente infondato e poco credibile.


venerdì 18 febbraio 2011

Romolo Murri








Murri, una figura straordinaria

fondatore della prima democrazia cristiana e della fuci, prete impegnato nel sociale, scomunicato dalla chiesa, parlamentare radicale e, in ultimo, fascista per reazione all'immobilismo dei notabili liberali.

ciò che mi sempre colpito in Murri è la mancanza di sintesi alle sue contraddizioni. i suoi passaggi esistenziali non acquisiscono in un 'terzo superiore' i precedenti ma si limitano ad arricchire - paradossalmente - un percorso di vita di certo non ordinario.

nel brano pubblicato nel post precedente quello che emerge non è tanto un 'cristianesimo senza Cristo' quanto una fede morale nell'azione di liberazione dei singoli e dei popoli.
il Cristo di Murri vive il secolo ed il secolo partecipa alla gloria di Cristo nel segno dell'impegno riformatore.

chi a fine ottocento ha fondato la democrazia cristiana superando di fatto il non expedit non può non essere profondamente radicale, nel senso ultimativo ed escatologico d'un impegno politico che o è totale o non è.

solo superficialmente ci si può mostrare attoniti per la scelte politica libertaria del suo impegno parlamentare nel primo decennio del secolo scorso, susseguente alla scomunica ecclesiastica;
ma cosa c'è di più politicamente cristiano della battaglia per 'liberare le coscienze', per fondare l'autodeterminazione dei singoli?
è vero, il rischio - per molti - dell'esito nichilistico è presente ed oggi quanto mai attuale, ma è meglio il deserto nichilistico,la prova, il cimento del suo attraversamento che una fede solo tradizione e stanco culto.

non so se il Murri possa definirsi un buon fedele, non so se Cristo perdonerà i suoi estremismi ma so di sicuro che i suoi approdi energici e disperati sono diretta conseguenza d'un cristianesimo sanguigno e midollare orientato al tèlos più puro: l'avvento d'un Regno nuovo, la trasvalutazione di tutti i valori mondani.

martedì 15 febbraio 2011

uno scritto di Romolo Murri del 1912

Non sono mai stato un mistico e non mi sono mai dimenticato del dovere morale; mi sono fatto prete sognando giornali e partiti e larghe influenze civili; ho creduto forse più nella Chiesa che in Dio, senza mai curarmi molto di dogmi e di riti; e pure ho detto fino all’ultimo con sincero raccoglimento la mia messa e avrei continuato, forse, a dirla, se non me l’avessero tolta; avrei voluto esser monaco per una maggiore concentrazione di vita e mi sposerò, fra non molto, con questo medesimo desiderio. Ho cercato nello Stato quello che prima era nella Chiesa, uno strumento d’azione; e la prova continua, ma mi illudo di meno".

venerdì 4 febbraio 2011

mi viene in mente

mi scuso con chi non mi conosce tanto bene, mi scuso per le mie parole seguenti:
.... mi viene in mente di quando Simone era McGayver, Nino era Coccotellos King e Ciccio era Ciro,
mi viene in mente un passato non del tutto scomparso, il regno dei ricordi felici del regno della nostra adolescenza formativa.
... oggi, cosa rimane? solo il ricordo? solo un passato che non passa?
forse ancora i 'miei' sono i loro alias di sempre, forse i loro personaggi mitici albergano in loro come in me...
... se fosse così, ah se fosse così!!
...................... a questo punto le realtà si duplicano e si confondono, il presente è più ricco e vivo ed il ricordo non è più così essenziale e passa davvero il passato.
.................. lo so, lo so, non lo ammetteranno mai in pubblico, ricorderanno e basta, RACCONTERANNO E BASTA, ma dietro la facciata, oltre i professionisti, aldilà dei profili linkedin, vivono ancora, lottano ancora, sognano ancora.

sabato 22 gennaio 2011

giovedì 13 gennaio 2011

un pensiero illuminante di Raimond Pannikar

Io non ho avuto un’esperienza di Damasco, non sono caduto da cavallo né ho avuto un’esperienza folgorante.… La vita la si vive… La vita ci è stata data… Siamo talmente abituati a oggettivare che subito ci facciamo eroi o ci confessiamo… Per dirlo in modo più filosofico: il gran mito dell’Occidente è la Storia… Io non scrivo la mia storia, la vivo” (Exodo, 65. 2002).

........................................................

il pensiero di Pannikar mi sembra assolutamente cristocentrico, come quello, diverso nella identità cristiana, di I. Illich.
cosa colpisce in Pannikar? il suo pluralismo religioso? l'elogio del relativismo? non credo sia cosi, non credo la sua vita così semplicemente superficiale, mi appare, al contrario,più proiettata verso le vette di una verità che non può dirsi totalmente logica nè totalmente umana e storica.
è chiaro che se ci si allontana dalla tentazione idealista quanto dalla 'chiarezza' storicista, tutto lo scontro ideologico tra civiltà, culture e religioni - lo stesso concetto di appartenenza - non può che apparire limitante dell'autentico umano che 'supera' le idee sull'umano.
per Pannikar, l'ossessione dell'Occidente sembra la Storia, ebbene egli ci invita non a scriverla a non teorizzarla, a non concettualizzarla, ma a viverla, con tutte le contraddizioni possibili.
in fondo, come ci ha insegnato Desmon Tutu, Dio non è cristiano e come ci insegna Pannikar:
Dio non è l'idea di Dio.

venerdì 17 settembre 2010

mercoledì 1 settembre 2010

oggi, la scuola

oggi inizia la scuola per i tanti amici e colleghi precari, per una gioventù che si "allaccia, sbanda a povere mete" per colpa di una visione economicistica di ciò che non può essere interpretato del tutto come 'rapporto di lavoro' o come 'spesa pubblica'.

la scuola nel nostro sud è qualcosa di più, è stata per tanti una prima occasione di ingresso nel mondo del lavoro, l'occasione spirituale di mettere alla prova le proprie conoscenze maturate attraverso il rapporto esistenziale con l'alunno, con il nostro passato prossimo che bussa tante volte alle porte dei nostri sogni.

insegnare per la mia generazione ha significato materializzare gli impulsi positivi maturati sui banchi di scuola, ha significato concretizzare una precisa acquisizione del pensiero: FARE MEGLIO DEI NOSTRI INSEGNANTI, FARE DI PIU', UMANIZZARE LA TRASMISSIONE DI CONTENUTI!

come si fa a spiegare questo al governo, a tremonti? come si fa a spiegare che un insegnante precario di 35 anni al quale per un gioco tragico di tagli è venuto meno il contratto a tempo determinato è un uomo svilito, mortificato, ferito... finito?

come si fa a spiegare ad un alunno diversamente abile che il proprio insegnante di sostegno è stato 'eliminato', che le ore da 18 sono passate a 9, che il futuro è ancora più incerto, che lo svantaggio sociale si allarga come un fosso?

come si fa?
....................... forse è impossibile farlo quando le orecchie sono chiuse, quando 'i conti' prendono il sopravvento sui deboli mentre gli sfascisti, gli evasori si permettono il lusso di far studiare i propri figli nelle scuole private.

si scontrano, in fondo, due mondi opposti e nemici, si scontra la civiltà dello studio, del sacrificio, dell'impegno e del progresso sociale e la civiltà del taglio lineare, del risparmio fatto a scapito dei deboli, degli occhi chiusi sulle ferrari, sugli immobili di lusso di gioiellieri, dentisti ed avvocati che dichiarano al fisco redditi assimilabili a quelli del maestro elementare che 'viaggia' su una panda di 15 anni.

.................. di poche cose sono certo quanto del fatto che la collocazione sul 'fronte giusto' costituisca un destino ineluttabile per chi non si arrende alla deriva burocratica e tecnocratica della gestione del 'lavoro' e del 'lavoro insegnante' in particolare: il lavoro non è una merce qualunque e l'insegnamento dei saperi non è una voce del bilancio pubblico da 'snellire' e ridimensionare!

l'insegnamento è la fonte stessa dei saperi ed il suo esercizio è indispensabile al progresso spirituale di una nazione .... il dubbio atroce è che dello sviluppo spirituale non importi granchè ai nostri governanti ..... la materia conta, la solo materia sonante conta, soprattutto quella contenuta nelle solite tasche.

sabato 3 luglio 2010

Blaise Pascal

Pascal e il dio vero

Poiché Dio, se esiste, è nascosto, ogni religione che non afferma che Dio è nascosto non può essere vera.
(citato in Vittorio Messori,Ipotesi su Gesù, SEI, Torino 1976, p. 35)

Pascal e il Dio nascosto

106. Ci sono due maniere di persuadere delle Verità della nostra religione: l'una, con la forza della ragione; l'altra, per mezzo dell'autorità di chi insegna.

Ci si serve non di quest'ultima, bensí della prima. Non si dice: “Bisogna credere questo, perché la Scrittura, che lo afferma, è divina”, ma che bisogna crederlo per la tale o tal altra ragione: tutti argomenti assai deboli, perché la ragione si lascia piegare per ogni verso.

107. Prefazione della seconda parte. Parlare di coloro che si sono occupati di questa materia.

Considero con stupore con quale ardire costoro si accingono a parlare di Dio. Rivolgendosi con i loro discorsi agli increduli, cominciano con il provare la divinità per mezzo delle opere della natura. Non stupirei del loro modo di procedere se rivolgessero i loro discorsi ai credenti, perché è certo [che coloro] che han viva la fede nel cuore vedono súbito che tutto quanto esiste è opera del Dio che adorano. Ma per coloro in cui quella luce è spenta, e si mira a farla rivivere, per quelle persone prive di fede e di grazia, che, pur impiegando tutta la loro intelligenza a cercare tutto quanto nella natura può condurli a tale conoscenza, ci trovano soltanto oscurità e tenebre; dir loro che basta guardarsi intorno per scorgere chiaramente in ogni minima cosa Dio, e addurre, per tutta prova di cosí grande e importante argomento, il corso della Luna e dei pianeti, e pretendere di aver con questo discorso assolto il proprio assunto, questo è dar loro motivo di credere che le prove della nostra religione sian molto deboli. E, infatti, ragionamento ed esperienza m'insegnano che nulla è piú atto a fargliela prendere in dispregio.

Non cosí parla delle cose di Dio la Sacra Scrittura, che pur le conosce molto meglio. Essa dice, anzi, che Dio è un Dio nascosto; e che, dopo la corruzione della natura, ha lasciato gli uomini in un accecamento da cui posson uscire solo per opera di Gesú Cristo: fuori del quale è impossibile ogni comunicazione con Dio: “Nemo novit Patrem, nisi Filius, et cui voluerit Filius revelare” [“Nessuno ha conosciuto il Padre se non il Figlio e colui a cui il Figlio ha voluto rivelarlo”] (Mt., XI, 27).

È quel che c'insegna la Scrittura, quando dice, in tanti luoghi, che coloro i quali cercano Dio lo trovano. Non si parla di una luce che sia come quella meridiana. Non si dice che coloro che cercano la luce in pieno meriggio o l'acqua nel mare la troveranno. Bisogna, dunque, che l'evidenza di Dio nella natura non sia di tal sorta. Cosí, la Scrittura dice altrove: “Vere tu es Deus absconditus” [“In vero tu sei un Dio nascosto”].

(B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino, 1967, pagg. 39-41)

sabato 19 giugno 2010

Erik Peterson

su Erik Peterson

Sto leggendo alcuni testi del teologo cattolico tedesco Erik Peterson, in particolare 'il monoteismo come problema politico' e 'testimoni della verità'.

la vita di questo uomo è stata travagliata sia spiritualmente che nella quotidianità: da protestante divenne cattolico, da ricco a povero, da antinazista divenne nemico della patria, costretto all'esilio.

cosa è che mi ha colpito davvero del suo pensiero?

nella sua risposta alla 'teologia politica' di Schmitt è vero, forse, che non centrò la questione a pieno, disconoscendo le motivazioni giuridiche e 'non valoriali' dell'analisi del giurista tedesco ma è pur vero, a mio parere, che Peterson riconobbe a pieno il pericolo per il cristianesimo che soggiace nel riconoscimento di una analogia 'sistematica' tra rapporti teologici cristiani e dottrine politiche.

................. in fondo è il pericolo già constatato da Kierkegaard, è il pericolo di imbrigliare la forza dirompente della fede nei legacci stretti del mondo... il rischio è quello di divinizzare la terra e la sua storia e di dimenticare la Speranza del Singolo, il suo rapporto con l'Eterno, aldilà di qualunque cultura, di qualunque ideologia, di qualunque pensiero politico attuale od inattuale.

in gioco, a mio parere, non c'è tanto il contrasto tra pensiero reazionario e rivoluzione, in gioco c'è il confronto tra autenticità religiosa e la sua 'scimmia': il cristianismo culturale e il suo potere mondano.

Disconoscere la possibilità stessa di una ‘teologia politica’ cristiana significa, per Peterson, non disconoscere il dato storico del ‘passaggio/trasformazione’ dei concetti teologici in concetti politici di dottrina dello stato … questo, infatti, è un dato realizzato, reale che si accompagna alle dinamiche generali di secolarizzazione e di mutamento delle sfere di interesse delle diverse epoche: dal teologico del ‘500 al naturalistico del ‘600, all’umanistico del ‘700, all’economico dell’800, al tecnico del ‘900 (volendo usare la terminologia tipica dell’analisi di Schmitt) ma significa, più profondamente, disconoscere il legame strutturale che esisterebbe tra cristianesimo e potere, tra fede e ‘giustificazione’ della situazione politica in essere.

Per Peterson, in sintesi, si tratta di ribadire, secondo l’insegnamento Kierkegaardiano, la differenza ‘radicale’ tra rapporti teologici (in primiis la ‘Trinità’) ed esperienze creaturali.

La misteriosa dinamica relazione trinitaria non trova riscontro in terra e, per ciò, lo stesso concetto di ‘monarchia divina’ – quale legame analogico esistente tra monoteismo e potere mondano – appare non solo insufficiente ma addirittura eretico, possibile solo in ambito giudaico (monoteistico) o pagano (politeistico) laddove, cioè, la ‘monarchia divina’ si appalesa possibile nei due estremi del rigido esclusivismo e del sistema burocratico funzionale.

Nulla di tutto questo è possibile nel cristianesimo… nessuna monarchia è possibile dove l’unità della natura si differenzia in tre persone unite dall’identità della volontà…. È il nucleo centrale di un ‘potere’ che non trova analogie in terra e che si può comprendere solo alla luce della fede e del mistero del dogma.

Ogni diverso tentativo culturale e politico sarebbe una forzatura, sarebbe un uso strumentale della religione, il tentativo di non lasciare – come dovrebbe essere – alla fede della creatura la parola ultima sulla storicità della Chiesa e del messaggio evangelico.

In fondo è l’umanissima paura del mistero che inquieta i cercatori di sicurezze mondane alla cui ombra riposare la tragicità di una fede e di una speranza paradossale e buia.

I fautori della ‘teologia politica’, secondo Peterson, sono i veri nemici della escatologia cristiana, del mistero delle ‘cose ultime’ e trovano più immediato e comprensibile riconoscere un ruolo di mediazione a forze storico politiche che, innanzi al dubbio, alle difficoltà, alle aporie, ai disastri del destino umano su questa terra, oppongano la forza di un kat’echon, la ‘forza frenante’ che ci salverebbe dall’anticristo, dal disordine, dall’anarchia………………… ma anche, ed è ciò che si nasconde per primo alla propria coscienza, che ci salverebbe, allontanandola, dall’epifania del Regno di Dio, dal ritorno definitivo di Cristo.

domenica 23 maggio 2010

Alice

non tace per orgoglio la ragione,



'tace per malattia di cuore'



.... ..... ed innanzi al tuo sorriso muore ... ....



ed è per sempre,



come l'amore!

martedì 23 febbraio 2010

di nuovo tu!

è da tanto che non aggiorno il sito... e ne è passata di acqua sotto i 'miei ponti';
innanzitutto... e prima e dopo di tutto il resto ..... mi preme aggiornarvi sulla nascita e sull'attuale ottimo stato di salute della mia piccolina, ALICE.

ora la bambola ha quasi quattro mesi e la mia vita è cambiata senza cambiare, è totalmente diversa pur essendo normale come al solito..... ma come è possibile tutto questo????

forse - e qui mi lancio in una tessi estemporanea - il cambiamento vero, la diversità reale per essere tale, per essere radicale deve essere interiore e spirituale e non lasciare segni visibili all'esterno, non cedere la propria alterità al mondo ma conservarla nel sacro del foro interiore, della coscienza.

.... è sempre più vero -per me - che aldilà delle nostre vicende storiche, oltre il quotidiano, anche oltre la nostra vita e la nostra morte, si muove nell'esistenza un altro tempo che è interiore e metastorico:

è il tempo in cui il protagonista non è solo il nostro io ma la somma di spiritualità che sin dalla nascita ci ha investito e ci ha formato .... in questo tempo si muovono i nostri morti, i nostri desideri, il passato della nostra specie, il futuro della stessa.... e soprattutto Dio....

in tal senso, e solo in tal senso, il tempo metastorico è 'naturale', cioè è proprio della nostra natura umana la dialettica irrisolta tra FINITO E INFINITO e la profonda lotta interiore tra quotidiano ed eternità.

tale spiritualità naturale, tale mitologia universale, tale speranza che muove la nostra storia, si appalesa in tutte le coscienze con la forza di un 'eterno ritorno', come un fiume carsico che scompare e che ricompare nelle nostre vite e che non ci fa essere 'animali felici', esseri mondani rassegnati alla morte.


venerdì 24 luglio 2009

Rudolf Bultmann


alcune frasi del teologo Bultmann

1.) "Solo quando ci sentiamo interpellati da Dio nella nostra esistenza personale ha un senso parlare [...] di Dio."
2.) "Dio diviene accessibile soltanto attraverso la sua rivelazione alla fede che risponde ad essa... Pertanto la teologia protestante deve fortemente ed indissolubilmente ancorarsi al principio che Dio non è visibile che per chi ha fede."
« Non ci si può servire della luce elettrica e della radio,o far ricorso in caso di malattia ai moderni ritrovati medici e clinicie nello stesso credere nel mondo degli spiriti e dei miracoli propostici dal Nuovo Testamento. »
3) "La demitizzazione vuol mettere in risalto l'autentica intenzione del mito, cioè quella di parlare dell'esistenza umana, del suo essere fondata e limitata da una potenza dell'aldilà non mondana, una potenza che non è percepibile dal pensiero oggettivamente. In senso negativo, quindi, la demitizzazione è una critica dell'immagine del mondo propria del mito, nella misura in cui essa nasconde la vera intenzione del mito stesso. In senso positivo è un'interpretazione esistenziale, con cui si vuol chiarificare l'intenzione del mito, che è precisamente quella di parlare dell'esistenza dell'uomo "


Tra i libri di Rudolf Bultmann disponibili in edizione italiana:
Storia ed escatologia - Bompiani 1962
Il cristianesimo primitivo nel quadro delle religioni antiche - Garzanti 1964
Nuovo testamento. Il manifesto della demitizzazione - Queriniana 1970
Nuovo testamento e mitologia - Queriniana 1970
Credere e comprendere - Queriniana 1977
Teologia del nuovo testamento - Queriniana 1985

lunedì 20 luglio 2009

Etty Hillesum


ti aiuterò mio Dio

“C’è in me un pozzo molto profondo. E in questo pozzo c’è Dio. A volte riesco a raggiungerlo. Ma la maggior parte delle volte, pietre e calcinacci ostruiscono questo pozzo, e Dio vi è sepolto. Bisogna allora riportarlo alla luce” (Diario di Etty Hillesum, 26.08.1941).


“Ti aiuterò, mio Dio, a non spegnerti dentro di me, ma non posso garantiriti niente in anticipo. Tuttavia una cosa mi appare con sempre maggiore chiarezza: non sei tu che puoi aiutarci, ma siamo noi che possiamo aiutare te e, facendo questo, aiutiamo noi stessi” (Diario di Etty Hillesum, 12.07.1942).


Le riflessioni di Etty Hillesum nei giorni in cui sperimenta il dolore più crudo: la persecuzione, il disprezzo sociale, l’abbandono e la morte dei vicini, non cedono al materialismo, alla accettazione del mondo e delle sue regole; Etty affronta la ‘sofferenza dei giusti’ aggrappandosi alla autenticità dei propri sentimenti e alla consolazione dello Spirito.


Nel dolore riscopre i volti di gente sconosciuta e nell’offrire speranza ed amore guarisce le proprie ferite – od almeno cerca di guarirle – e nel far ciò, in ultima analisi, salva il mondo, salva il suo tempo crudele (il tempo della persecuzione nazista in Olanda) e salva Dio.


Etty ci dice che Dio è con noi, soffre con noi e per noi; Egli è dentro di noi e noi in Lui e partecipiamo insieme alla storia della salvezza. Allo stesso modo in cui noi abbiamo bisogno di Lui, Egli ha bisogno di noi (e questo è un pensiero ‘forte’ che ci ricorda – pur in altro ambiente ed in altro tempo – le riflessioni di Heschel); siamo interdipendenti nonostante l’abissale differenza qualitativa che c’è tra Creatore e creatura, l’enorme differenza qualitativa che sussiste tra il tempo dell’uomo ed il tempo di Dio.


Questa vicinanza esistenziale e questa lontananza siderale racchiudono il mistero della vita umana. La Hillesum ci racconta di un Dio che va ricercato e agognato e al quale bisogna appellarsi non per ottenere favori o grazie ma esclusivamente per salvare ‘spiritualmente’ se stessi, per salvare l’umanità dalla rovina che è insita nell’abbandono di Dio, nella sua sepoltura.
In tal senso, il divino si veste delle fattezze dell’autentico: scoprire Dio nella propria vita significa, in breve, liberare la propria veridicità, la relazione, il contatto, l’alterità che mette alla prova la nostra autosufficienza.


Rinunciare a Dio, decidere scientemente di allontanarlo dalla propria esistenza significa, quindi, rinunciare a scandagliare le proprie profondità, significa accontentarsi di soluzioni semplici all’enigma uomo, significa compiacersi di risposte materialistiche e naturalistiche e di un destino di buio che ha la capacità annichilente di travolgere nel ‘non sense’ tutte le nostre azioni, tutti i nostri amori e sacrifici.


Quando ci si accontenta di se stessi, il singolo dimentica l’intima coessenzialità della relazione con l’altro (sia esso il prossimo o Dio) e tenta la strada dell’autosufficienza, della autonoma e affrancata posizione di valori e sensi (così nella vita quotidiana dei sentimenti come nella riflessione filosofica e cosmologica).

Se ciò, all’inizio, può soddisfare l’ego, in seguito - innanzi alla debolezza e alla fallacia del tempo dell’esistenza – il singolo attento e mai pago di domande e di approdi scopre facilmente la friabilità di ogni autonomia umana; autonomia razionale destinata a cadere nel buco nero della morte e dell’annientamento materiale.


Dinanzi al brivido della solitudine, il singolo degenera spiritualmente e se non è capace di abbandono (‘non tutto possiamo, e più della forza può l’abbandono’), di umiltà e di desiderio di amore e di relazione nonostante tutto - nonostante le prove scientifiche, nonostante gli esperimenti che atomizzano e che semplificano ciò che è eternamente complesso - rischia di mutilare definitivamente se stesso, di rinunciare a qualsiasi lotta e sogno e a delegare a strutture tecniche, disumane e tranquillizzanti: ‘il mercato e la società dei consumi’ la capacità di porre indirizzi, di stimolare sogni.


Etty, ancora, mi sprona a queste riflessioni:

C’è in me Dio, ma raggiungerlo è ostico come risolvere l’enigma uomo; Dio è sepolto, l’uomo è sepolto, la verità stessa è sepolta.


Ma, forse, si può vivere la Fede anche in questa oscurità, anzi senza questo buio, questa mancanza dei certezze umane, non ci sarebbe Fede autentica, non ci sarebbe speranza ed abbandono.


Il Dio dei nostri tempi, il Dio che la rivelazione in fieri che accompagnerà l’uomo fino alla fine del mondo, ci fa intuire nel tempo nostro, non può essere solo un ‘Dio tappabuchi’ (il dio della religione classica così tratteggiato da Bonhoeffer), un dio pagano, cioè, al quale ricorriamo per sistemare le cose come ad un orologiaio in possesso di una scienza esatta.


Lo stesso concetto di Provvidenza va ridiscusso, la Provvidenza divina si realizza nel mondo in forme e sensi a noi non comprensibili se non nelle manifestazioni esteriori … è vero che ‘a chi bussa sarà aperto’ ma cosa significa veramente bussare alle porte del divino? E che cosa significa soddisfare autenticamente e, quindi, per l’eternità, la nostra richiesta d’aiuto?


Se non si ‘codificasse’, insomma, una certa ‘impotenza umana di Dio’, una sua ‘umiltà dell’intervento’ (umiltà divina che è il centro del mistero per F. Varillon), non si riuscirebbe a far fronte teologicamente e spiritualmente al dramma delle preghiere non esaudite, alla sofferenza dei giusti, al male nel mondo.


Forse, Dio può fare poco per noi in questa vita da un punto di vista materiale, probabilmente il suo intervento - sempre bramato e auspicato - sarà disatteso nelle vite di molti di noi … e saremo chiamati a custodire la Fede nonostante il silenzio.


In tal senso, il compito dei credenti postmoderni è quello di impegnarsi in un compito abissale: cercare le radici nascoste di Dio dentro noi stessi, scoprire che se abbandoniamo la scintilla di Dio ci ritroviamo più soli, senza speranze, mutili spiritualmente e deboli moralmente.
Senza Dio, senza l’aspettativa di senso, non c’è amore possibile, non c’è forza talmente potente da resistere alle sferzate della caducità, della fatica della esistenza.

Di fronte al silenzio di Dio, al potenziarsi della autonomia della ragione, lo ‘Spirito umano moderno’ ha creduto di poter fare a meno di Cristo e di poterlo sostituire con nuovi idoli, né più né meno di come l’Occidente ha già fatto con i signori dell’Olimpo.

I nuovi idoli sono stati: la scienza esatta, il ragionamento logico, l’idea di verità quale certezza degli enti, il dogma della riproducibilità dell’esperimento quale garanzia di certezza, l’ideologia politica storicista e progressiva… in sintesi, l’io umano ha ‘detronizzato’ finalmente Dio, Prometeo ha creduto di conquistare l’Olimpo; ma quali sono state le conseguenze della maturità raggiunta? L’ansia di riduzione dell’enigma uomo ad una formula semplice e scientificamente valida ha portato il singolo a rinnegare le proprie pulsioni di socializzazione di base (il rapporto con il Padre in primis), comprese quelle spirituali, e a cercare forzosamente di scordare il senso di insoddisfazione che accompagna ogni passo del Mängelwesen (dell’essere naturale difettoso - che egli è - secondo la celebre definizione di A. Gehlen); si è cercato, così, di sostituire le mancate evidenze trascendenti con nuove certezze più prossime, più umane ma il tutto ha cozzato con guerre fratricide, ideologie assolutistiche, partitocrazie autocefale e morte.


La stessa morale, privata dell’origine trascendente e misteriosa di ogni legge, di ogni richiesta divina, è diventata o formalismo giuridico o libertinismo vitalistico e senza speranza.


Cercare un po’ di Dio in noi significa - in un ottica non di potenza e, quindi, in un’ottica mistica e spirituale - cercare l’amore (la relazione, il confronto, la compassione e la speranza) nonostante il mondo cerchi di depravarci, di immiserirci nell’assenza di sogni; in tal senso ‘Amore’ significa anche commozione, spirito, autenticità umana, interdipendenza delle vite, amicizia, aiuto reciproco.


Il nostro tempo non può darci molto, lo stesso Dio non può aiutarci come vorremmo; il perché Egli non intervenga innanzi a tanto male è il vero mistero della Fede, più grande dell’incarnazione e della resurrezione … Egli - si sa - vuole qualcosa da noi, vuole che desideriamo il suo Regno, che non lo dimentichiamo nonostante tutto, nonostante il mondo.


Ecco – secondo l’intuizione di Etty - il nostro compito: salvare Dio, salvarlo prima dentro di noi e poi nel mondo, ricordare agli uomini che la speranza è ancora possibile, che tutto non si riduce nel gioco degli interessi ideologici o economici, che il miracolo della vita grida vendetta di fronte alla nostra società materialistica.


È chiaro che Dio si appella alla nostra forza e alla nostra Fede, lo fa con il silenzio ma anche attraverso l’illuminazione spirituale e poetica che tutti siamo chiamati a coltivare nella nostra vita.


In sintesi, siamo chiamati a non arrenderci al quotidiano, a sognare e ricercare ‘altro’ oltre il predominio e la ricchezza. Ognuno ha la sua strada, ma credo che, in ultimo, quando lo iato tra i tempi sarà colmato, Cristo ci chiederà ragione dei nostri talenti, del dono della vita e il suo metro di giudizio non sarà il metro umano ma quello delle Beatitudini, il metro ‘non esatto’ dell’amore, dell’ amore amato … nonostante tutto!

domenica 19 luglio 2009

Vittorio Messori


una critica (positiva) su "Ipotesi su Gesù" di Messori

da qualche giorno ho terminato di leggere il saggio 'ipoesi su gesù' di Vittorio Messori (testo edito nel '76 ma attualissimo) che ho trovato davvero brillante ed appassionato.
non conoscevo l'opera di Messori ma solo qualche breve intervista sui giornali o in televisione.
dopo la lettura del testo ho confrontato quelle idee degli anni 70 con le ultime cose lette di mesori di questi anni.
in particolar modo - a me pare - che 'ipotesi su gesù' sia un testo dichiaratamente improntato sull'idea di aut-aut, cioè sull'irriducibilità del messaggio cristiano a vicenda meramente mondana e storica.
è vero che - nel testo - messori cerca di mostrarci la storicità del cristo ma in un senso Kierkegaardiano di 'verità eterna che nasce nel tempo' mentre - seguendo l'insegnamento di Pascal - rifugge qualsiasi interpretazione storicistica che riduca l'esperienza di fede ad un percorso razional-culturale come vorrebbero i deisti ieri ed oggi i neocon.
secondo 'ipotesi su gesù' il dio di abramo, di isacco e di giacobbe non è il dio dei filosofi e degli scienziati e la paradossalità del cristianesimo sfugge le riduzioni culturali idealiste che vorrebbero inquadrare il fenomeno cristiano in un progresso preciso con un prima di preparazione e un dopo di approdo.
in sintesi, il testo di messori contesta l'et-et hegeliano, la superba costruzione razionale che tutto concilia e che tutto modera: cristo e cesare, paganesimo e giudaismo, fede e cultura.
'l'et-et' nega la radicalità del cristianesimo e lo inquadra in un movimento culturale e spirituale che lo spiega e lo tempera.... ma 'ipotesi su gesù' ci aiuta a capire la differenza cristiana, l'assudo di una fede che si fonda su un fatto storico: la nascita, la morte e la resurrezione di un uomo nato alla periferia dell'Impero.
tutto ciò premesso, come è possibile che oggi messori - nei suoi ultimi interventi -rivaluti l'et-et? vorrei conoscere le ragioni di questo ritorno all'800 ... ed infine gradirei sapere se messori ritiene il suo 'ipotesi su gesù' un testo 'riformato' o 'protestante' figlio di un periodo ormai superato .. in tal caso mi rassegnerei ad amirare un 'libro unico' frutto di un periodo fecondo ed illuminato del nostro autore.

il pungolo

piegato su di me, come un dono molesto,


dopo tanta pace e morte,


eccolo il dolore di Cristo..


il pungolo della zanzara di dio...


e non c'èpiù pace.


e davvero, forse, tutto finirà...


nulla tornerà di questo quotidiano


che pesa, che tace.


***


sei piegato su di me, mi stringi forte


come un cappio al collo,


e non ho più respiro,


non ho più controllo....


***

tragico, doloroso, fiorisce il Bene;


come una piaga sanguina il pensiero ...


ed eccoli i petali assurdi del dubbio:


"e se davvero tutto finisse nelle braccia del figlio?"

la caccia

non c'è giustizia in questo torto che mi fai ....


perchè non mi abbandoni


a questo tempo, a questo mondo?




ferisci la materia di queste mie membra


con le membra ferite di tuo figlio.....



..... senza parole, senza sentenze, senza prigione.....



con la persecuzione sorda d'una pietà che allarma,



d'una caccia all'inverso



dove l'animale insegue l'uomo ed il suo fucile armato......



"fino al temine d'ogni fuga



alle radici dolorose del cuore


fino all'insensato cadere d'ogni pretesa,


d'ogni ragione".

lunedì 1 giugno 2009

consonanza

la mistica dei rumori



passa per il silenzio degli occhi abbandonati



su questa mia odierna pace e trascuranza,



in essa tutto si dissolve



e la casa non è più ritorno,



gli affetti non più partenza,



e tu più che amore:




sole.

attesa

domani quando sarà tutto cominciato



questo presente sarà la nostra preistoria



guarderemo indietro ad un tempo senza ruota




ad un fuoco che non brucia

mercoledì 15 aprile 2009

°°° °°°

una notte può durare oltre


il giorno dopo e dopo ancora


tormentare l'anima con il buio.


lo so da oggi - pesce d'aprile


assassino d'amore e muto di vendetta -


lo so da quando - dentro il cuore -


il tuo nome ha generato figli


bellissimi che adorano il padre



e il padre - non più innocente -



s'avvinghia al passato.

giovedì 19 febbraio 2009

cavallo pazzo. un omaggio a Beppino ed Eluana Englaro

l'ultima promessa è caduta, mantenuta,

ora si può spergiurare, si può essere "per la vita",

tu non volevi è certo, lui, forse, t'avrebbe tenuta con sè,

padre uguale agli altri fino in fondo.


ma Beppino t l'ha promesso

e ha legato il suo cuore al tuo rispetto.


Oggi tutto è vecchio e tu, forse, vivi di nuovo,

più simile alle foto dei tuoi vent'anni,

più libera ancora.


"grazie papà", mi viene da dire

e la mia voce vuole contenere la tua,

vuole essere come un cavallo pazzo:

"niente mani più addosso",

diritto in corsa verso l'eterno,

non più in attesa del Padre.

se il mondo mi scivola addosso

non è pioggia, non è pianto,

è il destino delle cose, delle illuse

realtà del tempo,

........."solo ciò che è fermo rimane,

ciò che dura resiste".........

chiamalo pure 'Amore', amore mio;

io dico: la vera vita

....... dove io chi sono? Niente!

........ ed è vero solo ciò che si sente!

l'unjco reale

sei e non sei sempre con me

perchè non sempre penso a noi:

m'affolla la mente il mondo oscuro

e tra le illusioni delle cose

dimentico l'unico reale:

il mio folle amore, il cuore

Cesare Pavese, verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-

questa morte che ci accompagna

dal mattino alla sera, insonne,

sorda, come un vecchio rimorso

un vizio assurdo. I tuoi occhi

saranno una vana parola,

un grido taciuto, un silenzio.

Così li vedi ogni mattina

quando su te sola ti pieghi

nello specchio. O cara speranza,

quel giorno sapremo anche noi

che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

Sarà come smettere un vizio,

come vedere nello specchio

riemergere un viso morto,

come ascoltare un labbro chiuso.

Scenderemo nel gorgo muti.