lunedì 20 luglio 2009

ti aiuterò mio Dio

“C’è in me un pozzo molto profondo. E in questo pozzo c’è Dio. A volte riesco a raggiungerlo. Ma la maggior parte delle volte, pietre e calcinacci ostruiscono questo pozzo, e Dio vi è sepolto. Bisogna allora riportarlo alla luce” (Diario di Etty Hillesum, 26.08.1941).


“Ti aiuterò, mio Dio, a non spegnerti dentro di me, ma non posso garantiriti niente in anticipo. Tuttavia una cosa mi appare con sempre maggiore chiarezza: non sei tu che puoi aiutarci, ma siamo noi che possiamo aiutare te e, facendo questo, aiutiamo noi stessi” (Diario di Etty Hillesum, 12.07.1942).


Le riflessioni di Etty Hillesum nei giorni in cui sperimenta il dolore più crudo: la persecuzione, il disprezzo sociale, l’abbandono e la morte dei vicini, non cedono al materialismo, alla accettazione del mondo e delle sue regole; Etty affronta la ‘sofferenza dei giusti’ aggrappandosi alla autenticità dei propri sentimenti e alla consolazione dello Spirito.


Nel dolore riscopre i volti di gente sconosciuta e nell’offrire speranza ed amore guarisce le proprie ferite – od almeno cerca di guarirle – e nel far ciò, in ultima analisi, salva il mondo, salva il suo tempo crudele (il tempo della persecuzione nazista in Olanda) e salva Dio.


Etty ci dice che Dio è con noi, soffre con noi e per noi; Egli è dentro di noi e noi in Lui e partecipiamo insieme alla storia della salvezza. Allo stesso modo in cui noi abbiamo bisogno di Lui, Egli ha bisogno di noi (e questo è un pensiero ‘forte’ che ci ricorda – pur in altro ambiente ed in altro tempo – le riflessioni di Heschel); siamo interdipendenti nonostante l’abissale differenza qualitativa che c’è tra Creatore e creatura, l’enorme differenza qualitativa che sussiste tra il tempo dell’uomo ed il tempo di Dio.


Questa vicinanza esistenziale e questa lontananza siderale racchiudono il mistero della vita umana. La Hillesum ci racconta di un Dio che va ricercato e agognato e al quale bisogna appellarsi non per ottenere favori o grazie ma esclusivamente per salvare ‘spiritualmente’ se stessi, per salvare l’umanità dalla rovina che è insita nell’abbandono di Dio, nella sua sepoltura.
In tal senso, il divino si veste delle fattezze dell’autentico: scoprire Dio nella propria vita significa, in breve, liberare la propria veridicità, la relazione, il contatto, l’alterità che mette alla prova la nostra autosufficienza.


Rinunciare a Dio, decidere scientemente di allontanarlo dalla propria esistenza significa, quindi, rinunciare a scandagliare le proprie profondità, significa accontentarsi di soluzioni semplici all’enigma uomo, significa compiacersi di risposte materialistiche e naturalistiche e di un destino di buio che ha la capacità annichilente di travolgere nel ‘non sense’ tutte le nostre azioni, tutti i nostri amori e sacrifici.


Quando ci si accontenta di se stessi, il singolo dimentica l’intima coessenzialità della relazione con l’altro (sia esso il prossimo o Dio) e tenta la strada dell’autosufficienza, della autonoma e affrancata posizione di valori e sensi (così nella vita quotidiana dei sentimenti come nella riflessione filosofica e cosmologica).

Se ciò, all’inizio, può soddisfare l’ego, in seguito - innanzi alla debolezza e alla fallacia del tempo dell’esistenza – il singolo attento e mai pago di domande e di approdi scopre facilmente la friabilità di ogni autonomia umana; autonomia razionale destinata a cadere nel buco nero della morte e dell’annientamento materiale.


Dinanzi al brivido della solitudine, il singolo degenera spiritualmente e se non è capace di abbandono (‘non tutto possiamo, e più della forza può l’abbandono’), di umiltà e di desiderio di amore e di relazione nonostante tutto - nonostante le prove scientifiche, nonostante gli esperimenti che atomizzano e che semplificano ciò che è eternamente complesso - rischia di mutilare definitivamente se stesso, di rinunciare a qualsiasi lotta e sogno e a delegare a strutture tecniche, disumane e tranquillizzanti: ‘il mercato e la società dei consumi’ la capacità di porre indirizzi, di stimolare sogni.


Etty, ancora, mi sprona a queste riflessioni:

C’è in me Dio, ma raggiungerlo è ostico come risolvere l’enigma uomo; Dio è sepolto, l’uomo è sepolto, la verità stessa è sepolta.


Ma, forse, si può vivere la Fede anche in questa oscurità, anzi senza questo buio, questa mancanza dei certezze umane, non ci sarebbe Fede autentica, non ci sarebbe speranza ed abbandono.


Il Dio dei nostri tempi, il Dio che la rivelazione in fieri che accompagnerà l’uomo fino alla fine del mondo, ci fa intuire nel tempo nostro, non può essere solo un ‘Dio tappabuchi’ (il dio della religione classica così tratteggiato da Bonhoeffer), un dio pagano, cioè, al quale ricorriamo per sistemare le cose come ad un orologiaio in possesso di una scienza esatta.


Lo stesso concetto di Provvidenza va ridiscusso, la Provvidenza divina si realizza nel mondo in forme e sensi a noi non comprensibili se non nelle manifestazioni esteriori … è vero che ‘a chi bussa sarà aperto’ ma cosa significa veramente bussare alle porte del divino? E che cosa significa soddisfare autenticamente e, quindi, per l’eternità, la nostra richiesta d’aiuto?


Se non si ‘codificasse’, insomma, una certa ‘impotenza umana di Dio’, una sua ‘umiltà dell’intervento’ (umiltà divina che è il centro del mistero per F. Varillon), non si riuscirebbe a far fronte teologicamente e spiritualmente al dramma delle preghiere non esaudite, alla sofferenza dei giusti, al male nel mondo.


Forse, Dio può fare poco per noi in questa vita da un punto di vista materiale, probabilmente il suo intervento - sempre bramato e auspicato - sarà disatteso nelle vite di molti di noi … e saremo chiamati a custodire la Fede nonostante il silenzio.


In tal senso, il compito dei credenti postmoderni è quello di impegnarsi in un compito abissale: cercare le radici nascoste di Dio dentro noi stessi, scoprire che se abbandoniamo la scintilla di Dio ci ritroviamo più soli, senza speranze, mutili spiritualmente e deboli moralmente.
Senza Dio, senza l’aspettativa di senso, non c’è amore possibile, non c’è forza talmente potente da resistere alle sferzate della caducità, della fatica della esistenza.

Di fronte al silenzio di Dio, al potenziarsi della autonomia della ragione, lo ‘Spirito umano moderno’ ha creduto di poter fare a meno di Cristo e di poterlo sostituire con nuovi idoli, né più né meno di come l’Occidente ha già fatto con i signori dell’Olimpo.

I nuovi idoli sono stati: la scienza esatta, il ragionamento logico, l’idea di verità quale certezza degli enti, il dogma della riproducibilità dell’esperimento quale garanzia di certezza, l’ideologia politica storicista e progressiva… in sintesi, l’io umano ha ‘detronizzato’ finalmente Dio, Prometeo ha creduto di conquistare l’Olimpo; ma quali sono state le conseguenze della maturità raggiunta? L’ansia di riduzione dell’enigma uomo ad una formula semplice e scientificamente valida ha portato il singolo a rinnegare le proprie pulsioni di socializzazione di base (il rapporto con il Padre in primis), comprese quelle spirituali, e a cercare forzosamente di scordare il senso di insoddisfazione che accompagna ogni passo del Mängelwesen (dell’essere naturale difettoso - che egli è - secondo la celebre definizione di A. Gehlen); si è cercato, così, di sostituire le mancate evidenze trascendenti con nuove certezze più prossime, più umane ma il tutto ha cozzato con guerre fratricide, ideologie assolutistiche, partitocrazie autocefale e morte.


La stessa morale, privata dell’origine trascendente e misteriosa di ogni legge, di ogni richiesta divina, è diventata o formalismo giuridico o libertinismo vitalistico e senza speranza.


Cercare un po’ di Dio in noi significa - in un ottica non di potenza e, quindi, in un’ottica mistica e spirituale - cercare l’amore (la relazione, il confronto, la compassione e la speranza) nonostante il mondo cerchi di depravarci, di immiserirci nell’assenza di sogni; in tal senso ‘Amore’ significa anche commozione, spirito, autenticità umana, interdipendenza delle vite, amicizia, aiuto reciproco.


Il nostro tempo non può darci molto, lo stesso Dio non può aiutarci come vorremmo; il perché Egli non intervenga innanzi a tanto male è il vero mistero della Fede, più grande dell’incarnazione e della resurrezione … Egli - si sa - vuole qualcosa da noi, vuole che desideriamo il suo Regno, che non lo dimentichiamo nonostante tutto, nonostante il mondo.


Ecco – secondo l’intuizione di Etty - il nostro compito: salvare Dio, salvarlo prima dentro di noi e poi nel mondo, ricordare agli uomini che la speranza è ancora possibile, che tutto non si riduce nel gioco degli interessi ideologici o economici, che il miracolo della vita grida vendetta di fronte alla nostra società materialistica.


È chiaro che Dio si appella alla nostra forza e alla nostra Fede, lo fa con il silenzio ma anche attraverso l’illuminazione spirituale e poetica che tutti siamo chiamati a coltivare nella nostra vita.


In sintesi, siamo chiamati a non arrenderci al quotidiano, a sognare e ricercare ‘altro’ oltre il predominio e la ricchezza. Ognuno ha la sua strada, ma credo che, in ultimo, quando lo iato tra i tempi sarà colmato, Cristo ci chiederà ragione dei nostri talenti, del dono della vita e il suo metro di giudizio non sarà il metro umano ma quello delle Beatitudini, il metro ‘non esatto’ dell’amore, dell’ amore amato … nonostante tutto!

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