venerdì 3 agosto 2012

il centro politico


  • il filosofo ebreo Taubes affermava di condividere con 'l'antisemita' Schmitt lo stesso concetto negativo sul centro politico. Sia il rivoluzionario escatologico che lo statalista destrorso, quindi, squalificano il centro come indeterminato, indeciso ed occasionalista al confronto con le proprie opzioni 'forti' di destra o di sinistra poco importa... in sintesi ciò che conta per gli araldi del pensiero politico 'forte ed escludente' è l'idea, l'idea salvifica diremmo meglio... ed a Taubes appare evidente come il centro non abbia nel proprio dna una tale idea di salvezza immanente a portata razionale dell'uomo e delle sue costruzioni politiche mondane.
  • in effetti, il centro politico, e nello specifico il centro politico europeo di ispirazione cristiana, non possiede un idea forte ed ideologica della politica; non intende sovvertire (o restaurare) la società e lo stato per realizzare la storia e le sue promesse. Ma perché questo? perché tale difetto ideale? io qui tenterò una risposta: è perché i centristi sono dei pessimisti! in profondità coltivano una antropologia negativa ed un razionalismo debole che impedisce loro di appassionarsi alle soluzioni estreme e radicali rivoluzionarie o tradizionaliste.
  • il filosofo cattolico Del Noce in un bel saggio introduttivo al saggio 'La  nuova scienza politica' di Voegelin sottolinea una profonda differenza teoretica tra la gnosi classica e la gnosi  post-cristiana. la seconda, nel concentrare l'attenzione sulle capacità razionali dell'uomo-prometeo abbatte ogni dualismo per disegnare in definitiva un progetto, un piano scientifico di piena realizzazione mondana, di piena coincidenza di realtà e razionalità (si pensi al debito teologico che il marxismo ma anche il nazionalsocialismo ha con la gnosi intrastorica di Gioacchino da Fiore); la prima gnosi, invece, quella classica che pure rivive, per Del Noce, in celeberrimi passi dell'opera di Simon Weil, è radicalmente pessimista sulle capacità operative umane e sul destino di questo mondo e ciò  perché riconosce all'opera - nell'immanenza storica - non solo la forza paradossale e salvifica della straordinaria ed unica Incarnazione ma, soprattutto, la forza terribile della croce, della sentenza ingiusta, della scelta per Barabba e non per Cristo.
  • Da tale scetticismo cristiano cosa ne deriva politicamente? l'accettazione piena del dualismo, della irriducibilità dei due Regni (delle due Città) e ciò significa intendere la politica come essenziale attività pragmatica diretta a realizzare non sogni ed utopie ma il bene comune, il migliore dei mondi possibili in un quadro complessivo di miseria e penuria che richiederebbe preghiere e penitenze più che azioni rivoluzionarie tese a santificare e sacralizzare determinate opzioni politiche, sociali ed economiche rispetto ad altre.
  • essere di centro e cristiani significa, in breve, credere nell'Eterno che irrompe nel tempo per il tramite della coscienza, della tradizione e della fede religiosa ed essere guardinghi verso tutte quelle ricette semplici e populistiche che promettono di risolvere unidirezionalmente e astoricamente - cioè per sempre - gli universali problemi delle società umane, dalla guerra, all'ingiustizia, alla mancanza di libertà politica e civile.
  • in ciò consiste, quindi, il moderatismo del centro: non arrendevolezza di fronte al male radicale ma consapevolezza dei limiti umani e coscienza della complessità delle dinamiche sociali; complessità che può richiedere duttilità strategica nelle ricette da porre in essere e capacità critica tale da predisporre, al di fuori da qualsiasi ideologia progressista, dei piani di rientro e di correzione di rotta.
  • il centro politico è centro mobile di ricette variabili, soprattutto sul piano economico, che decide di non piegare la realtà e la sua variegata complessità e bellezza ad un piano 'razionale' di compiutezza politica definitiva ma che, riconoscendo l'intrinseca fallibilità dell'uomo e dei suoi progetti, concepisce la politica come freno all'anomia, come freno all'ingiustizia, come argine all'oppressione. E' chiaro che l'azione frenante, il 'katechon' paolino, può ad una lettura frettolosa del reale apparire come conservatorismo.... ma ciò è l'ultima illusione del progressimo e del regressismo storico; in realtà l'azione frenante è pur sempre azione, pur sempre progetto che non mira però a realizzare immanentisticamente l'uomo e la sua società perfetta ma che ha l'obiettivo a liberare il singolo, la persona dai vincoli - anche ideologici - che ne impediscono la piena realizzazione storica e sovra storica, nel segno della libertà.