lunedì 14 marzo 2011

lo scarto tra essere e dover essere

Le questioni riguardanti il tema della giustizia nella modernità sono molto interessanti e coinvolgono profondamente il nesso tra realtà e idea, tra essere e dover essere.

cerco di spiegarmi meglio, le tesi, ad esempio, di Rawls sono condivisibilissime, ed egli riassume in se il meglio del pensiero liberale e democratico che si è esercitato sul problema della giustizia politica e sociale. il suo contrattualismo giunge ad una 'ragionevole' sintesi tra differenza ed egualitarismo fondando l'analisi sul concetto di equità e di buon senso.....

il problema che emerge da queste disquisizioni teoriche, però, non mi pare tanto quello di interrogarci sulla condivisibilità o meno di una teoria così 'sensata' ma, più significatamente, mi appare il seguente:

nel mondo (nel secolo) c'è scarto tra l'idea e la contingenza? e se si è possibile, in terra, una mediazione tra questi due termini?

...preciso meglio: secondo me la realtà che viviamo non è razionale, anzi è il più possibile lontana dalla razionalità perchè l'uomo è spinto non solo dalla logica ma da altri più significativi impulsi egoistici che lo portano a 'creare' il mondo in cui opera attraverso scelte che si allontananno grandemente da ciò che - secondo razionalità e buon senso - 'dovrebbe essere'.

nonostante questo è bene che l'uomo conservi, in privato come in società, consapevolezza di questo scarto e che coltivi il 'dover essere' come un fine a cui tendere, come un metro al quale cercare di uniformare il proprio agire.

il dover essere, in sintesi, opera come 'Speranza', come utopia, come coscienza del proprio limite e delle proprie miserie... senza tale 'sentimento di inadeguatezza' non solo non avrebbe senso il termine religioso 'peccato' ma, addirittura, perderebbe di senso il concetto laico di etica.

la confusione tra realtà e idea, tra essere e dover essere (improntata al più estremo storicismo immanentista, pensiamo all'idealismo hegeliano) ha portato all'indifferentismo morale e al neutralismo politico e sociale incapace di sogni, di speranze e , quindi, di lotte.

lo stesso marxismo che ha piegato la 'speranza di giustizia' inserendola in una costruzione scientifica (di materialismo scientifico parla l'autore del Manifesto) ha 'dialettizzato' il dover essere (la speranza) strappandolo al cielo e inserendolo nella realtà come processo necessario, negando, quindi, lo scarto tra idea e realtà.

che cosa ne è generato? semplice: il socialismo reale, la preminenza del 'progresso necessario' sulle istanze dei singoli, la sottomissione della libertà individuale alla scientificità 'reale e razionale' del Partito.

per nostra fortuna (perchè da ciò deriva il nostro libero arbitrio) la giustizia non appaertiene a questo mondo!!!!

la Speranza, il Sogno, l'Idea, ci appartengono come oggetti di fede e non come realtà presenti; funzionano da spinta al miglioramento ma non saranno mai totalmente raggiunte se non alla fine dei tempi, con la fine della Storia.

saremmo degli gnostici se pensassimo che la salvezza ci appartenesse totalmente come frutto di un percorso mondano e razionale autosufficiente e progressivo ne senso del compimento umano della storia di liberazione.

per fortuna, non tutto possiamo, non tutto è in nostro potere!!

nessun partito, nessuna scienza, nessuna tecnica ci dovrà convincere del contrario, nessuno più dovrà convincere l'uomo, il singolo, che dal preciso riconoscimento di nemici storici, di errori razziali, di classi sopraffattrici, potrà derivare automaticamente - sulla base della identità di ragione e storia - la salvezza del mondo, la Giustizia realizzata, il regno (reich) di pace.

nessuna mediazione in terra è possibile tra giustizia e realtà; ogni contrattualismo sconta il pericolo di astrattismo sperimentale (pensiamo agli uomini 'svuotati' di interessi e vita di Rawls), ogni scientismo sociale progressista sconta il pericolo di un automatismo necessario che stritola i singoli nel suo incedere maestoso ed ogni decisionismo dittatoriale sconta il pericolo di vuoto nichilismo e di occasionalismo.

i cristiani dicono che il nesso tra ideale e reale è stato interrotto dal peccato originale, dal quale è derivato sì il nostro procedere incerto e dubbioso ma anche la nostra libertà; solo una volta, in maniera eccezionale e irripetibile, si è ristabilito il nesso... è l'incarnazione di Cristo che ha fatto irrompee di nuovo l'Eterno nel Tempo.... da allora noi coltiviamo tale 'mediazione' come memoriale, come realtà del cuore e della fede ma non del mondo... siamo vincolati a tale 'mediazione' come ad una sequela impossibile, come ad un esempio irripetibile... e, comunque, dobbiamo stargli dietro, dobbiamo continuare a sognare la giustizia, a lottare per essa.. sapendo, però, che la salvezza non è nelle nostre mani.

rinunciare alla 'sequela impossibile' equivale, per me, all'orgoglio di chi ha immanentizzato la salvezza e la giustizia; entrambe le opzioni 'teologico-politiche', infatti, hanno l'effetto di risolvere facilmente il problema del 'nesso'.

più difficile è accettare, introitare l'aporia, mantenersi in bilico tra realtà e spirito e conservare l'autenticità inconfondibile dei due estremi, non risolversi per l'una (la realtà) o l'altra (l'idea) ma farli propri entrambi con i piedi per terra e lo sguardo oltre i tetti delle case.

solo così ha senso interrogarsi sulla giustizia (im)possibile .... ogni altro pensiero totalmente secolarizato si mostra tragicamente infondato e poco credibile.