È notizia delle ultime ore: molte Ong hanno chiesto un incontro al
Viminale per discutere seriamente di sottoscrizione del famoso codice di
comportamento che prevede, tra l’altro, il divieto di entrata in acque libiche,
il divieto di trasbordo dei migranti presso altre imbarcazione e la presenza a
bordo – su richiesta delle autorità - della polizia giudiziaria italiana.
Evidentemente pragmatismo e concretezza prevalgono
quando le regole sono di buon senso e chiare e vengono difese con l’autorità
che si addice ad uno Stato sovrano
che si relaziona con organismi privati legittimi, necessari, lodevoli negli
scopi e nelle azioni ma, in ogni caso, incidenti sui nostri mari, sul nostro territorio,
sul destino delle popolazioni accoglienti e su quello dei disperati oggetto di mercato e tratta.
Al di là delle dotte disquisizioni giuridiche tra
internazionalisti, esperti di diritto della navigazione di diritto umanitario e
penalisti, lo scontro in atto tra i fautori di una immigrazione controllata e
gli artefici di una terzietà ideologica che, come tale, disconosce
confini e respinge intromissioni alla propria attività di “salvataggio” in
mare, è lo scontro politico tra l’anarchismo romantico di un estremismo che
tende ad avere a che fare con “gente” spogliata
di ogni diritto contrattuale e lavoristico e trattata come materiale
spersonalizzato da tutelare senza forme ma sostanzialmente e quello che
possiamo bene definire un liberalismo
delle regole che, finalmente, ha deciso di non deporre il diritto come un rottame metafisico travolto dalla realtà
tragica degli sbarchi continui interpretati come destino ed espiazione di colpe
ataviche ma che vuole contemperare, nel buon senso, più esigenze che non possono disgiungersi: il
soccorso della gente in mare in pericolo, il riconoscimento dell’asilo politico
per rifugiati e perseguitati, l’accoglienza dignitosa in Italia per chi vi ha
diritto.
Ma cosa significa accoglienza dignitosa? Perché non
si può giudicare delle ultime decisioni del Governo sul codice di comportamento per le Ong senza capire cosa sta succedendo nei
nostri territori dopo gli innumerevoli sbarchi degli ultimi anni?
Se l’Italia,
infatti, merita ed ha avuto l’apprezzamento internazionale per le operazioni
messe in campo, da Mare Nostrum a Triton,
non possiamo non sottolineare il sostanziale fallimento di un sistema di
accoglienza che non produce integrazione ed inclusione ma solo ghettizzazione e
stazionamento involontario di tanti migranti
economici che, di certo, non desiderano l’Italia come loro meta di approdo
ma che vi sono costretti dalla chiusura delle frontiere dei paesi del Nord
Europa.
Che senso ha, infatti, l’accoglienza sine die di migliaia di giovani africani
alla ricerca di un futuro migliore senza alcuna politica seria di inclusione
nel tessuto sociale del paese di approdo? Come si può parlare di comprensione
reciproca e di reciproco aiuto senza percorsi di insegnamento della lingua e
della cultura del territorio d’accoglienza? Che scopo ha – ed ecco che ritorna l’estremismo umanitarista –intendere eccezionalisticamente i migranti come
esperimenti umanitari, privi di forme, documenti, diritti e doveri
comuni, suscettibili solo di una tutela senza sbocchi e prospettive, buona solo
per soddisfare – sempre a distanza comunque – un certo pregiudizio occidentale
che, sempre più affinato, non è semplicisticamente escludente ma, appunto,
umanitariamente ospitale ma non davvero inclusivo, non paritario?
Ed allora, ben vengano le regole, ben venga la
distinzione tra Ong che davvero
intendono salvare vite umane in pericolo e quelle che ideologicamente si
considerano “terze” in un conflitto raccontato come epocale tra le sponde del
Mediterraneo, hanno deciso di creare un vero e proprio corridoio umanitario illegale, un percorso taxi ben oleato, che ha
l’unico scopo di traghettare - quasi a titolo risarcitorio - masse indistinte
dal Sud al Nord del Mondo?
Ed attenzione, davvero i corridoi umanitari legali sono
necessari, davvero debbono sempre più accompagnarsi ad una rinnovata e
potenziata cooperazione internazionale che aiuti le economie dei paesi del
terzo e del quarto modo, davvero l’Europa dovrebbe ripensare in senso più
liberale e concorrenziale le proprie politiche agricole ed aprire il proprio
mercato – iper protetto ed escludente
– ai prodotti esteri, davvero la retorica razzista dei tanti demagoghi in campo
dovrebbe cedere il passo alla comprensione del fato che le battaglie idiote contro
l’olio tunisino o le arance
marocchine non fanno altro che
acuire la disperazione di economie in crisi che necessitano, invece, di essere
coinvolte nei processi di consumo delle economie più ricche. E posto ciò, la
risposta civile e giuridicamente più sensata alla crisi migratoria in atto non
può essere l’arrendersi all’ideologismo irresponsabile di chi interpreta il “non
governativo” come anarchismo rivoluzionario, di chi sconosce volontariamente la
differenza tra terra e mare, tra confini, limiti e diritti, di chi bolla come
borghesi e classisti i diritti contrattuali e sociali, le forme comuni che “tutelano”
la presenza produttiva e riconosciuta come legittima degli stranieri “occupati”
nel nostro paese e che hanno conquistato con il sudore e l’impegno il proprio permesso di soggiorno, la propria carta di lungo periodo, la propria cittadinanza italiana.
Solo ritornando ad una ordinaria dinamica non eccezionalistica ed ordinata del flusso
migratorio, solo scardinando le dinamiche malate di un accoglienza presso hotel e residence in crisi in cerca di
denaro pubblico e, spesso, attraenti gli appetiti del crimine organizzato, si potrà
davvero portare a buon fine il progetto di uno ius soli temperato e di uno ius culturae che apra definitivamente le porte del Paese a nuovi cittadini
nella piena titolarità dei propri diritti civili.
Enzo Musolino