lunedì 8 dicembre 2014

GIUSTIZIA E DIRITTO POLITICA E ONESTA'

  • Diritto e giustizia, politica e onestà. Nelle ultime settimane – dopo la sentenza della cassazione sul disastro ambientale Eternit e le parole di Landini (FIOM) sul Governo che non avrebbe il consenso delle ‘persone oneste’ – si ripropone la questione dello scarto tra Giustizia e sentenze, tra Giustizia, forme del Diritto ed esercizio del potere e si sollevano contestazioni, opposizioni, indignazioni e purtroppo poco buon senso. Lo scontro fondamentale è tra sostanzialismo e formalismo all’interno dell’agone democratico e giuridico. La questione sembra tecnica ma invero, appena si traduce nella realtà dei processi mediatici, nella carne viva delle piazze in mobilitazione per il posto di lavoro, allora – immediatamente - risulta comprensibile la posta in gioco ed il rischio collegato ad ogni facile riduzionismo, alla comoda individuazione – in spregio alla complessità del reale - del nemico pubblico da sconfiggere ed abbattere.
  • Andiamo con ordine: sul caso Eternit, aldilà delle semplificazioni giornalistiche e del giustificato dolore espresso dai familiari delle vittime, esiste effettivamente uno sconfitto, ma non è la Giustizia né il Diritto; ad essere sconfitta è la strategia d’accusa della Procura della Repubblica di Torino che, nonostante da subito siano state sollevate censure sulla avvenuta prescrizione del reato, ha deciso di procedere per la fattispecie del disastro ambientale, benché il reato di disastro ambientale in Italia non esista e quello generico di disastro – previso dall’art. 434 c.p. - sia tipizzato con riferimento non ad eventi ad effetti lunghi ma sull’ipotesi del crollo di costruzioni.
  • Di certo, ciò ha significato una indagine più semplice; è stato ‘facile’ reperire materiale probatorio per fatti chiari. La catastrofe, infatti, c’è stata ed è indubbia ma si è come accantonato sotto il tappeto il problema, la polvere del tempo trascorso che non poteva che emergere nel giudizio innanzi la Suprema Corte.
  • La fabbrica Eternit, infatti, ha cessato di operare a metà degli anni ’80, il reato di disastro ha cessato di consumarsi allora mentre di certo non sono cessati i suoi effetti mortali e la Corte, chiamata ad una pronuncia non sul merito ma di diritto sulla corretta applicazione della legge (decisione che per sua natura ha portata generale chiamata a fondare Giurisprudenza), non ha quindi negato quelle morti, né cassato una storia incontestabile (quella della ‘decisione’ per il profitto e contro le persone) ma ha cassato la strategia mediatica della Procura di Torino, attenta a seguire se non a fomentare un clamore populista che ha trascinato nell’errore anche i Giudici di primo e secondo grado. Si è tentato, quindi, un percorso discutibile: si è puntato formalmente su un reato ormai consumato, il disastro, mentre il reato dissimulato, contestato però solo innanzi alle Piazze e alle famiglie delle vittime era l’omicidio, era la morte da amianto.
  • Ora si tratta di ricominciare, e finalmente il Procuratore Guariniello deposita gli atti di una inchiesta bis, stavolta per l’accertamento del reato di omicidio volontario, soggettivamente qualificato dal dolo eventuale.
  • Di certo questo è un reato difficile da provare, di certo richiede capacità di investigazione e di convincimento giuridico altissime e davvero una pronuncia dei Giudici motivata in tal senso - e confermata dalla Corte di Legittimità - potrebbe segnare una strada operativa anche per altri paesi europei coinvolti nella tragedia Eternit. Il problema è che tale strada si comincia ad esperire in colpevole ritardo, e speriamo che la si percorra non cedendo alla demagogia e alle istanze di Giustizia Assoluta di un sostanzialismo che ha in spregio regole e forme e che, purtroppo, conduce ad esiti inefficaci o barbari.
  • Bisogna stare accorti, la Storia insegna che quando alle forme della legge e del Diritto si sostituisce la giustizia sommaria di piazza per quanto motivata dalla richiesta di Verità, presto alla strage di legalità segue la strage dei popoli, la carneficina dei carcerati senza diritti e senza un giusto processo, il sangue versato dei nemici di partito, degli avversari di classe, di ceto, di razza.
  • A fronte di tutto questo, oggi, tanti magistrati - spesso davvero colpevoli di errori e ritardi ingiustificabili - e politici asserviti al senso comune ed incapaci di far intraprendere all’opinione pubblica un serio percorso di conoscenza del senso profondo dello Stato di Diritto, individuano nell’istituto della prescrizione il capro espiatorio del fallimento del processo Eternit ed in questa operazione di espiazione di massa Guariniello è santificato sull’altare dei giusti.
  • In realtà, l’istituto della prescrizione non c’entra niente, nessuna possibile riforma dello stesso potrebbe nascondere lo scandalo di un accertamento che interviene a trent’anni dagli ultimi fatti criminali; l’errore non sta nelle regole generali ma nell’aver coscientemente imboccato una via processuale sbagliata che necessariamente avrebbe trovato la strada sbarrata dalla Corte di Cassazione, la quale, lontana da Torino, è divenuta il parafulmine sul quale si scaricano tensioni generate ad arte.
  • Per quanto riguarda l’altro tema, le infelici frasi di Landini sugli onesti che non sarebbero dalla parte del Governo, ecco in campo un nuovo sostanzialismo di matrice razzistica ed elitaria. Gli onesti, i Giusti – per loro natura pochi – si troverebbero solo in una particolare classe sociale: i lavoratori dipendenti sindacalizzati e coscienti del proprio ruolo progressivo di matrice storicistica e rivoluzionaria mentre i disonesti, gli Ingiusti, sarebbero tutti gli altri, chi svolge la propria esistenza egoisticamente – magari evadendo le tasse – ed in un'altra direzione – senz’altro quella sbagliata - rispetto al necessario corso storico che prima o poi sancirà il trionfo socialista.
  • Tale sostanzialismo manicheo e semplicistico - che contraddice la realtà complessa e mutevole di una infedeltà fiscale diffusa capillarmente in tutti gli strati sociali italiani - è una bugia che finisce per dividere la società tra Santi predestinati e nemici dell’umanità, tra opzioni politiche dirette al bene ed altre ontologicamente negative e schiave di interessi nascosti. Niente di più falso, specialmente in materia di lavoro e di diritto sindacale. In tale campo, l’opzione pragmatica spingerebbe verso la duttilità di politiche chiamate ad essere verificate nel corso degli anni di applicazione, quindi nessuna scelta è a priori qualificabile come disonesta o, peggio, contraria agli interessi dei lavoratori, né si può tollerare la pretesa di certa pseudo- sinistra (ormai conservatrice e piegata su una ideologia sconfitta dalla Storia) di essere dalla parte di un progresso inteso come ineluttabile e teso al superamento dell’intraprendenza privata e dei suoi meccanismi capitalistici e di profitto.
  • In Italia non dovremmo mai dimenticare che il padre dello Statuto dei Lavoratori – Gino Giugni -è stato gambizzato dalle Brigate Rosse e che le stesse negli anni ’90 hanno ammazzato, sacrificato sull’altare della Verità e della Giustizia, sinceri democratici e studiosi riformisti quali D’Antona e Biagi. Sventolare, quindi, il vessillo della moralità di classe se può essere utile per carriere professionali, trionfi mediatici e politici è di sicuro contrario allo Stato di Diritto, ad un sistema liberale fondato sulla Legge.