IN DIFESA DEL “COMPAGNO ZETA”
Due sono stati
gli interventi che mi hanno colpito nel corso della scorsa assemblea nazionale
del partito democratico, e sono stati gli interventi di chi - davvero fuori
dagli schemi - non ha indossato una precisa casacca, non si è intruppato
semplicemente per Renzi o per gli scissionisti
ma ha tenuto a rappresentare, a fronte
della contrapposta retorica, profili complessi di realtà e concretezza che è sempre
necessario comunicare e diffondere.
Il primo è stato
quello del ministro del lavoro Poletti, il quale dopo una serie pressoché
ininterrotta di retorica lalurista vecchio stile, tutta incentrata sul mito di
un “lavoro” da difendere con le unghie e con i denti dai finanziari, dai capitalisti,
da un mercato – sempre da riformare – dipinto come la causa dei mali generatisi
dalla lunga crisi, dopo la richiesta veemente di molti di un PD rivolto sempre
e comunque, senza se e senza ma, dalla parte del lavoro, appunto, ha tenuto a
precisare un dato di concretezza dal quale, fuor di retorica, è difficile
trascendere: il lavoro lo crea l’impresa; il lavoro buono, quello non
clientelare, frutto del merito e della concorrenza, il più duraturo perché
legato a produttività e profitto lo crea l’impresa buona, l’impresa che sa
stare sul mercato, che, magari, sa anche usare con intelligenza gli strumenti
finanziari, senza, per questo, vendersi al diavolo della finanza sanguisuga ed
assassina. In aggiunta, scandalo demitizzante a parte, ha chiarito brevemente
la storia dei voucher in Italia, un’invenzione, comunque da riformare e non da
demolire per l’indubbio effetto di contrasto al lavoro nero, che non è stato il
frutto del jobs act renziano – che, da ultimo, ha precisato, invero, modalità
di comunicazione della effettiva prestazione rendendo obbligatoria l’email
preventiva all’ispettorato territoriale del lavoro – ma di una serie di governi
precedenti – da Berlusconi a Letta, passando per Monti – che progressivamente
hanno ampliato la platea dei potenziali beneficiari senza che emergesse
l’emergenza oggi pompata da una CGIL in cerca di una rinnovata strada 2.0 per
il sindacalismo politico. Il jobs act ha concluso Poletti è quello che ha, con
l’abolizione dell’art. 18, puntato sul contratto subordinato prevalente, che ha
abolito formule contrattuali precarizzanti
co.co.pro. e associati in partecipazione con apporto lavorativo, che ha
ridotto grandemente l’oscena formula delle false partita Iva. Ma tutto ciò,
ovviamente, appartiene alla realtà e ai fatti e di certo non possiede
quell’appeal retorico e romantico tale da strappare commozione ed afflato in
una riunione così tragica di partito (purtroppo !).
L’altro
intervento è stato quello di Giovanni Taurasi, giovane militante e delegato,
che quali al termine dei lavori si è prodotto in una vera antropologia del
“compagno Zeta”, cioè dell’anonimo militante di un circolo tipo del Pd
renziano, sempre il primo ad arrivare in sede, sempre speranzoso nella massiccia presenza altrui, sempre
attento agli interventi dei più loquaci ed in silenzio quasi assolto dalla
propria postazione all’ultima fila. Ma nache il compagno zeta che si illumina e
ride il giorno delle primarie, il giorno della partecipazione di un popolo che
riscopre passione civile e la bellezza della partecipazione e dell’impegno, il
giorno della festa democratica (sempre che non venga guastata dalla prosaica
presenza dei cinesi assoldati o da candidature di rottura sostenute da quelle
truppe cammellate che sviliscono il libero voto di opinione dei tanti compagni
zeta). In ogni caso il compagno zeta, nel pd, esiste, e questo è l’importante,
questo è stato il segno ed il sogno regalatoci da Giovanni Taurasi: la
rappresentazione della forza ostinata e davvero inattuale di chi, innamorato
della politica e delle sue regole liberali e costituzionali, a fronte della
violazione palese dell’elemento base del principio dell’alternanza democratica
– chi vince ha il dovere di governare una comunità e chi perde ha il dovere di
fare una minoranza responsabile fino alla prossima occasione – non si interroga
pensoso e riflessivo tanto sul perché di
una scissione – a 25 anni dal crollo del Muro - francamente indifendibile
neanche cantando Bandera Rossa (il potere è quasi sempre la risposta giusta a
questa domanda) ma sul come siamo tutti arrivati a legittimare e a ingrandire
tutto questo, tenendo milioni di iscritti – alle prese, nei circoli, con i
problemi reali del Paese – ostaggio di uno psicodramma personale (quello di
Emiliano) montato ad arte da pupari rimasti alla finestra.
Enzo Musolino
Nessun commento:
Posta un commento