giovedì 17 agosto 2017


Il 20% di Pannella contro le mafie

Davvero può bastare la repressione giudiziaria a sconfiggere le mafie? Da più parti e da tempo ormai giunge una risposta negativa e si invoca, così, la cd soluzione culturale comunitaria, una sorta di rivoluzione dal basso che, travolgendo i retaggi del passato, la plumbea tradizione di omertà e paura, riuscirà a compiere il miracolo della palingenesi. Tutto giusto, e però da dove partire? Dalle Scuole si dice, dal potenziamento del corpo docente nel sud, dalla necessità di incidere sui ragazzi, sui giovani, su quei figli di ndrangheta  o di camorra che  – si aggiunge -  dovrebbero essere sottratti ai nuclei familiari, esclusa la potestà genitoriale ed affidati a soggetti terzi, deportati in luoghi neutri, quindi, al fine di compiere, appunto, la rivoluzione necessaria.
Non sembrano però, al di là dell’utopia e della pianificazione ideologica, soluzioni davvero sostenibili, almeno nella forma demagogica nella quale sono offerte al dibattito pubblico.
Da una parte perché di insegnanti al sud ce ne sono, e pure troppi, mentre il problema reale è la selezione di personale di qualità, cosa che, al netto del concorso di questi giorni – finalmente meritocratico, a cattedra e non abilitante – non è di certo avvenuta con il sistema di avviamento attraverso le cd graduatorie provinciali e, poi, ad esaurimento, premianti non il merito – mai valutato da alcuno – ma la caparbietà di rimanere agganciati per anni ed anni in liste, rinnovate periodicamente, ed infarcite di fantomatici, quanto onerosi, corsi on line di formazione, pressoché inutili ma capaci di fornire quel punteggio aggiuntivo utile alla scalata.
Per quanto riguarda, poi, le varie proposte di allontanamento dei bimbi dal nucleo criminale presunto mafioso, l’effetto sicuro di una tale impostazione statalista non sarebbe altro che quella di rinforzare il legame di appartenenza con un’origine obliata a forza e mitizzata come propria ed identitaria.
A fronte di tale rischio di rinforzo, appunto, si dovrebbe, invece, approfondire i paradossi di quelle – tante- coscienze scisse.
Una scissione, che gli insegnati – quelli veri intendo, quelli che non si limitano nelle proprie ore di lezione alla fredda trasmissione di dati ma che affrontano anche i problemi sociali e spirituali delle terre di mafia – conoscono bene: è la scissione tra un apparato valoriale, quello trasmesso loro dalle istituzioni, dalla parrocchia, dall’associazionismo, che cozza radicalmente con quello offerto dalle famiglie di provenienza, quello che respirano giornalmente a casa.
E tale scissione, quindi, va coltivata, questo paradosso approfondito, questa frattura estesa; solo il tarlo di una diversità possibile, di una vita estranea alle dinamiche del sopruso ed aperta a concetti quali sacrificio e merito può davvero influire sulle nuove generazioni, può portarle in contraddizione culturale con i vecchi, può dare  forza dirompente ad  una ribellione interiore e liberante fatta di lacerazione, di dolore ma anche di risultati definitivi, altro che deportazione al nord!
In realtà, a parte le illusioni palingenetiche studiate a tavolino e le rivoluzioni a freddo partorite dalla burocrazia ministeriale, nelle terre di mafia, anche dentro le scuole, ad opera, soprattutto, dei portatori di culture altre (i veri insegnati, i veri educatori, i veri preti, le famiglie sane, le occasioni del mondo libero) qualcosa di sostanziale è cambiato.
 Il flusso delle generazioni, il contagio virale di una onestà che non giudica ma propone, offre ed ascolta; la stessa possibilità di libertà, di iniziativa di movimento e crescita offerta dal capitalismo tecnologico, le tante idee in rete, lo spontaneismo intraprendente di forti menti globali alle prese con la confusa ma prolifica disamina delle domande di beni e servizi di un territorio, del proprio territorio - anche in questo tempo di crisi, o, proprio grazie a questo - hanno prodotto frutti buoni anche se non sufficienti.
E davvero nessuno ne può più di vessazioni, di minacce, dell’ingiustizia atroce di una libertà - anche d'impresa – concussa fino all’inverosimile.
Il coraggio borghese, bisogna ricordarlo, viene anche da qui, e la reazione sempre più diffusa al racket del pizzo, alla rapina di ndrangheta è sempre più di insofferenza, di opposizione ontologica.
Bisogna riconoscere, infatti, che tale  feudalesimo premoderno è ormai risibile – magari in privato, ma è da questo che si arriva al politico, al pubblico – ed essenzialmente goffo ed incomprensibile nelle diatribe capziose che i capi sono chiamati a dirimere, non senza difficoltà e compromessi, per gestire -  come una burocrazia di autorizzazioni al commercio - un territorio che, nonostante l’internazionalizzazione, la delocalizzazione e la dematerializzazione del profitto legato alle droghe e all’assurdo proibizionismo che lo genera, non cessa di essere rappresentato come fonte di sovranità; un territorio vissuto come roba e latifondo, magari estraneo al vero business, ma ritenuto, da un punto di vista teologico-politico, originario, mitico, sorgente ctonia di potere.
Ed allora, proprio contro questa metafisica teologica, contro tale infuriare di poteri indiretti e guerre sacerdotali di matrice rurale, lo spirito borghese e laico, il turbo capitalismo dei contatti, degli scambi e delle conoscenze on line che tanta parte hanno nella vita dei giovani, non hanno un effetto dirompente? Lo hanno eccome!
E, forse, laddove non può aver successo pieno la repressione penale, ne' la Rivoluzione Ideologica  e Comunitaria da tanto, troppo tempo idealizzata ed attesa, non potrà  spuntarla l'anarchismo individualista? Quell’istintivo Antistatalismo, l’essere  proprio delle nuove generazioni refrattarie alle burocrazie pletoriche non si rivolge, oggi, - chissà in quali forme sotterranee, imprevedibili e non previamente razionalizzabili - anche contro lo Stato dell'antistato? Contro un Potere, ormai sempre più  frammentato, scisso? Tutto è pronto, forse, perché dietro ai veri intraprenditori del Sud – ma non solo del Sud-  si strutturi una nuova coscienza borghese, l’eroismo inintenzionale ma davvero produttivo dell’orgoglio per il proprio lavoro,  la gelosia del successo ottenuto, il vizio della crescita delle aziende, della selezione dei lavoratori; pronto perfino - e finalmente - ad evadere il fisco  del Vampiro mafioso, a violare le norme dei suoi regolamenti generanti povertà ed egualitarismo verso il basso, a scacciare dalla proprietà, dalla vita, dagli interessi e dalle relazioni, gli emissari della sua politica non più dominante.
In tal senso, anche a Scuola, personalmente,  e con me tanti insegnanti non totalmente assorbiti dalle miserie burocratiche del calcolo dei punteggi in graduatoria, è spesso capitato di condividere con i ragazzi (coinvolti in dinamiche familiari segnate da crimine e carcere) non l’odio per i padri (cosa impossibile da insegnare, almeno in  un quadro generale di libertà estraneo a rivoluzioni culturali stile cinese) ma il loro superamento e tramonto: l’intraprendenza, il successo, l’impresa fattrice di modernità e progresso, non ha nulla a che fare con l’eredità dei padri, con l’appartenenza a corporazioni protette, con la vita facile di chi non ha sudato il proprio posto al mondo, di chi non sa cosa significhi spiccare il volo.

La borghesia (mi piace usare questo termine nel senso di Sergio Ricossa, ossia come vocazione dell'uomo a rapportarsi con l'altro, a crescere e a migliorare attraverso lo scambio) c’entra con l’intraprendenza dei singoli (soprattutto di chi non ha niente e ha fame di tutto), con la testarda opposizione al privilegio e al sopruso, con l’amore per le cose realizzate, con l’edificazione di iniziative libere di espandersi, capaci di successo, profitto e lavoro. Dopo i tanti eroi magistrati, poliziotti, preti e giornalisti, di questi eroi borghesi avremmo adesso davvero bisogno e, forse, di meno stigma sociale prodotto da una repressione statale -  per carità giusta ed indispensabile  - ma che, a livello culturale e spirituale, è incapace di ricadere nel profondo di  una società ferita – non solo dal sopruso mafioso -  bisognosa, innanzi tutto, di giustizia, di comprensione delle cause di crisi e di diritto alla conoscenza. Non per nulla, il politico italiano per eccellenza estraneo al calcolo personale, all’interesse spicciolo, ed aperto, nel solco del pensiero liberale, all’accoglienza non ghettizzante - intendo Marco Pannella - alle ultime elezioni politiche a Platì, nel 2013,  in Calabria, in quella stessa terra in cui, oggi, il Pd, non ha avuto il coraggio di affrontare coraggiosamente la possibilità anche di una sconfitta alle elezioni comunali (nonostante i media, il sostegno dei tanti soloni e nonostante la retorica delle liste portate al vaglio della procura) ottenne il 20% dei consensi; così come buoni risultati ottenne a San Luca ed Africo. Tutti mafiosi alle prese con il 41 bis che speravano nell’Amnistia predicata a colpi di sathiagrah da Pannella? Non credo, credo che il leader radicale fu capito più dai figli che dai padri, da quegli spiriti alle prese con la rivolta delle coscienze. Ed allora, che senso ebbe, che senso ha ancora, quel 20% se non quello del tragico appellarsi ad una giustizia altra ed alta di cui ci ha tanto parlato anche Corrado Alvaro? Una giustizia eroica -  e borghese aggiungo io -  davvero anti mafia. 

                                                                                                                                     Enzo Musolino

Nessun commento: