IL DIRITTO DEI CIVILI
L’EVENTO E LA PERSONA NEL “COVID 19”
Il
fatto si è imposto con una forza che ha chiesto subito risposte, si è mostrato
come una coazione alla tutela, alla protezione, alla salvaguardia. Solo così, nel
fenomeno, è divenuto nuovo ordine provvisorio.
I
giuristi, giustamente, si stanno interrogando su questo accadimento, soprattutto
su cosa abbia oggi forza di deporre la legalità, di inficiare la libertà; sul senso
antico e moderno di autorità e di potere.
Sono
in gioco, è ovvio, le forme dello stato di diritto e la sostanza dell’eccezione.
Si
capisce che quest’ultima è più interessante del caso normale, più viva nel
dilatare fino allo spasimo la necessità stessa della risposta urgente, la capacità
di resistenza e di resa.
Il
diritto costituzionale, la dottrina dello stato, il contributo dei giuspubblicisti (ma non solo di questi
vedremo), sono importantissimi nel momento in cui mitigano, nella scienza, non
l’anomalia - che è purtroppo nei fatti - ma la pericolosa fuga ideologica, lo
scatenamento del potere sovrano, anche di quello popolare.
Per
questo è sempre opportuno ascoltare voci di buon senso che distinguono e
precisano, che giuridificano l’eccezione
per spuntarne gli aculei, mostrando attenzione e rispetto tanto per le libertà
oggi concusse, quanto per la salubrità e tenuta del sistema scosso dall’evento.
Perché l’uomo non è
sempre buono in sé e perché l’autorità non è sempre corrotta.
Vorrei,
oggi, tentare un approccio più comune,
sociale. Allargare il problema giuridico della pandemia a tutto l’ordinamento
civile, mettere all’opera quelle regole e quella autonomia che sono propri
della relazione tra pari, che disciplinano insieme – nella libertà e nella
responsabilità - l’autonomia dello stare insieme, al di là delle dinamiche del
potere statuale.
Ciò
può servire, credo, a porre l’accento su tutti noi, sulla comunità, sulle
risposte davvero risolutive che, come tali, non possono cadere dall’alto in
maniera salvifica (o demoniaca), per opera della procedure più o meno corrette
del dio mortale.
Il
diritto che si snoda tra noi, in tal senso, è essenzialmente il diritto delle
persone, della loro capacità giuridica e di agire, del negozio e del contratto,
dell’accordo quindi che impronta di sé il mondo, ed è anche, come tale - come
responsabilità per il presente e per il futuro - il diritto della tutela delle
posizioni deboli, il diritto dei fragili, della cura dei vicini per non perire.
Se
partiamo da qui, quindi, vedremo all’opera una poliarchia diffusa d’intervento
spontaneo e proprio, indipendente dallo Stato, nel quale anche il concetto di fonte del diritto si scioglie in un’articolazione
feconda di fatti e materie, di decisioni e consuetudini che fanno il mondo,
proteggono i singoli, ci impegnano per gli altri.
Il
diritto – che non è solo, quindi, potere e proprietà - è ricchezza di
istituzioni e articolazioni che accompagna e integra la produzione dei pubblici
poteri ed è giusto, quindi, interpellarlo in
toto nel corso dell’anomia in atto, a seguito del disordine generato dal
fatto bruto.
Persona, dicevamo, e
tutela della fragilità. E in effetti se questo è il
nostro mondo comune, la minaccia esterna e la risposta endogena non possono che
essere congiunte al rischio, all’alea, all’ incombenza dell’azione, all’abisso
dell’omissione.
Questo
è l’inizio, questa la base.
In
sintesi, si tratta della vita biologica
innestata a libertà, si tratta dell’uomo totale, non ridotto a partigiano
d’un’idea sovrana, escludente.
Si
tratta di sanare la libertà più grande: quella di non perire, di non spegnere
il mondo, perché non esiste il mondo senza il respiro.
È
ovvio che, così ragionando, giungiamo ai doveri. Al dovere dei singoli, al
dovere d’intervento e tutela, ed allora molto muta nell’orientamento.
Perché
la dinamica contrattuale protezione/obbedienza
salta non solo e non tanto sull’altare dei miei diritti innati ma, prioritariamente, sulla catastrofe del primo
dovere di ogni seria costruzione politica umana: salvare la vita ai cittadini,
ergersi – nello stare insieme - come
argine all’annichilimento irrecuperabile della società, alla morte.
E
lo stare insieme si sostanzia – civilmente – in questo necessario riparo imprescindibile,
si realizza nella dedizione per l’altro, nella responsabilità per la
prevenzione e per il risarcimento del danno ingenerato dal fatto ingiusto.
La
tutela liberale non è, quindi, anarchismo
asociale disincarnato che si muove per bandiere ideologiche, non è il
romanticismo politico del nessun
impedimento al moto, è essenzialmente libertà
dell’altro, difesa dell’altro dall’imprudenza, anche dall’imprudenza del
mio contagio.
E
se non fossimo intervenuti tempestivamente? Se non avesse prevalso
responsabilità? Chi risponderebbe oggi per le morti in più?
Ha
senso, dunque, far pre-agire l’interrogazione
ideologica e polemica sui limiti del Potere (disconoscendo per altro il ruolo
di Custode della Costituzione proprio
del Presidente della repubblica) rispetto al riconoscimento di un potere esteso
“anti covid”, palesemente diffuso nell’organizzazione comune della risposta di
contenimento e limitazione?
È
tutto dipeso da noi, quindi! E’ stato tutto nelle nostre mani: nella nostra capacità
di intervenire per i fragili, attraverso la concretizzazione di un distanziamento fisico che è stato, per
tanto, iper sociale, familiare,
affettivo, umano.
Non
per nulla il libro primo del nostro codice civile è dedicato alle persone e alla
famiglia, è dedicato, quindi - nella pienezza di doveri fecondi di tutela -
alla vita e al futuro.
Ed
è il soggetto
debole, quindi, l’autentico protagonista del diritto: minore di età, interdetto, inabilitato, amministrato, incapace, lavoratore contrattualmente
debole, vessato.
Figure
concretissime di un vivere civile aggredito dalla pandemia inattesa;
protagonisti e vittime di un rischio,
di un azzardo di senso, dell’incertezza di una risposta che non è stata mai
garantita da alcunché.
Perché la vera conoscenza scientifica è tale solo
se è falsificabile, quando si schiude alla prova dei fatti e dell’esperimento,
senza certezze ideologiche.
Se
la persona e il danno incombente diventano il centro del nostro ragionamento pandemico si aprono più
ampi e proficui ambiti di riflessione e si svela un’articolazione sociale di diritti
e di impegno per la liberà e la vita che non coincidono totalmente con le
dinamiche pubblicistiche, con il dibattito politico della polemica partitica e
istituzionale.
Ritornare
al centro del contesto civile, fare i conti con l’indipendenza di una vita
sociale consapevole dei propri doveri di protezione, significa che non c’è solo
la nostra vita da salvare, non solo la nostra libertà da tutelare dal governo.
C’è
anche la fragilità che merita subitanea tutela, c’è la decisione pre-normativa dell’uomo libero che, di
certo, se è davvero tale, acquisisce senz’altro il carattere generale
dell’imperatività morale.
Enzo
Musolino
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