Secondo il Presidente Trump l’immigrazione è un privilegio.
Più volte ha espresso questo
concetto e, da ultimo, nell’incontro con la Cancelliera tedesca. Ma che vuol
dire che è un privilegio? è un privilegio concesso dal potere? è un privilegio
vissuto come tale dal povero davanti al ricco? è un privilegio che va ripagato
con la soggezione? è un privilegio che assimila al concedente ma non eguaglia?
è un privilegio che, come tale, non conosce norme generali ma eccezioni? Tutte
queste domande sono lecite quando, fuor
di diritto, si pensa di gestire i fenomeni sociali con misure poliziesche
o, appunto, con esclusioni di mera natura politica e/o razziale. Ora, si può
ben combattere il terrorismo islamico come cancro
della post modernità ed esito estremo del nichilismo che si appella ad una metafisica forte e rassicurante; si
possono e si debbono riconoscere – anche in casa nostra - i limiti di una UE incapace al momento di
sostenere, anche normativamente, la formazione di un Islam Europeo fecondato pienamente dallo Spirito d’ Occidente, ma
come si fa a dirsi davvero Occidentali,
Europei, Americani, fautori della Società Aperta e cultori del singolo e della responsabilità
individuale, se si rinnega lo stato di
diritto, la stessa origine di un grande
Paese per negare l'ingresso, anche turistico, a uomini e donne colpevoli
solo di essere nati in un dato territorio, senza che nulla si sappia della loro
storia personale, dei loro sogni, delle loro speranze?
In tale contesto, fanno bene i
giuristi americani - da loro la censura
di incostituzionalità è diffusa e non accentrata come da noi - a
considerare ontologicamente nullo un decreto
che, in fondo, umilia non i mancati "privilegiati" ma i boriosi
"concedenti".
Non si tratta, evidentemente, né
di diritto soggettivo, né di aspettativa legittima: l'immigrazione (degli “economici” o dei “rifugiati” poco
importa) è un fenomeno tragico
che investe più fattori e deve essere inteso non solo come problema di ordine
pubblico - anche se ciò è pure necessario - ma anche come evento che si appella
alla Storia dell’umanità e all' autorappresentazione di una cultura – quella atlantica
- che ha fondato i diritti universali sull'idea folle ma produttiva che la libertà non è appannaggio di pochi
popoli eletti ma fiorisce dovunque sussista rispetto per l'individuo, sostegno
al suo libero movimento per la sussistenza e la felicità.
Certo, non possiamo accogliere
tutti e certo quelli che accogliamo vanno indirizzati su un percorso di
conoscenza e condivisione delle nostre regole liberali; ed ancora il nostro relativismo tollerante va raccontato non
come debolezza ma come opportunità di crescita e cambiamento, come assenza di
sclerotizzazione in una Tradizione sempre in cammino ed aperta al contributo
"bastardo" dell'altro e delle sue idee.
In fondo, è questo che i terroristi
odiano, questo subiscono come destino, questo combattono con l'ultimo colpo di coda riflesso di una (sub)cultura
finita, già morta e sconfitta. Il problema non è che "loro" non l'abbiano
ancora inteso ma è che siamo “noi” a non averlo fatto del tutto; o almeno
coloro - come Trump - che temono la libertà per il disordine, la complessità per la confusione, il relativismo e la purificazione del
sacro per la debolezza di una fede agonica. E' l’Oriente che ci portiamo dentro il vero problema: il riflesso assolutista che erige muraglie per difendere ciò che non
esiste: non esiste sovranità durevole senza diritto e costituzione democratica,
non esiste sicurezza senza percorsi legali di accoglienza dello straniero, non
esiste pace senza il benessere dei vicini, non esiste giustizia senza rapporti
paritari con chi condivide gli stessi valori fondanti. Per tutto questo Trump
può ben essere amico ed ammiratore di Putin e del suo bolscevismo nazionalista e non della Cancelliera tedesca.
Dopo l'orgogliosa e profetica
visione di Withman che, nell’alba dell'epopea americana, in Foglie d'erba, invitava la Musa della
libertà ad emigrare dalla Grecia, dalla
Ionia per il Nuovo Mondo come in una constatazione bonaria del già avvenuto e di un futuro
inarrestabile che avrebbe visto il cartello “trasferito” o “da affittare” sulle rocce del Parnaso, oggi, nell’era
di questo neo isolazionismo tremebondo, infantile ed insicuro, possiamo, forse,
ben richiamarla indietro.
L'America tradisce se stessa e
rinnega il suo movimento, le sue masse rozze e torbide nel fuoco religioso, la sua democrazia ed il suo corpo elettrico pronto all'abbraccio carnale, se l'immobilismo
autistico del suo frenetico Presidente pro
tempore ne è la rappresentazione plastica a fronte della virile stretta di mano offerta dalla Signora Merkel in un “movimento” da Foglie d’erba, appunto.
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