IL PAPA LABURISTA E’
LIBERALE
Il
Papa laburista è liberale, e non solo perché – a Genova, tra gli operai
dell’ILVA – ha citato Einaudi e la celebre frase: “migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano
nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli,
scoraggiarli” ma perché, con l’elogio del buon imprenditore e la critica
allo speculatore senza scrupoli, Francesco
ha messo in gioco – forse alla berlina - soprattutto lo Stato, un sistema
politico interventista ed astratto che, “partendo
dall’ipotesi che gli attori dell’economia siano speculatori” (parole Sue),
adotta sempre più spesso regolamenti e leggi, crea quindi livelli di burocrazia
e controlli tali che rischiano di penalizzare fortemente gli onesti – peniamo all’abolizione ideologica dei
voucher anche in ambiti, come quello turistico e stagionale, necessari – e che
non incidono sui veri speculatori, su coloro che sono in grado di eludere o
che, addirittura, non hanno alcuna esitazione a transitare nel lavoro nero.
Attraverso,
quindi, l’elogio dell’impresa che crea, nonostante tutto, lavoro – in primis il lavoro dell’ imprenditore
stesso - ed affermando che non c’è
buona economia senza imprenditori capaci di sacrificio ed inventiva per
sostenere, appunto, il lavoro, il Papa
pone l’accento su un’attività che edifica il patto sociale, che è fonte di
dignità ed onore personale, arrivando ad affermare che “lavorando noi diventiamo più persona”, che il lavoro,
cristianamente inteso, e forma di
partecipazione alla Creazione.
E’ cristiano, dunque, distinguere tra lavoro e reddito? Il primo, evidentemente, se è buon lavoro è molto di più! Ed è per
questo che il Pontefice – per la prima
volta a Genova con tale forza - critica apertamente l’idea dell’
assistenzialismo generalizzato dei “senza lavoro”, il cedimento – prima di
tutto culturale - ad un’idea apocalittica e neo luddista che vede nella
rivoluzione industriale in corso la fine
del lavoro, appunto; una visione piena di paura e di incomprensione delle libere
dinamiche sociali – pensiamo, ad esempio,
alle tristi battaglie corporative e di retrovia contro le nuove app che
consentono, nel mercato dei trasporti, di risparmiare tempi e costi - che
guarda alle trasformazioni dell’economia e della vita in modo rassegnato. Si
appalesa, quindi, una nuova (?) élite
che si candida a governare il nostro Paese che è davvero rassegnata ad una ideologia meramente difensiva e securitaria di
matrice collettivista – con tutti i pericoli che un tale cavallo di Troia può portare in ordine alla tenuta liberale del Sistema
Occidentale – e che immagina un mondo (penso al “Veni,Vidi,Web” di Casaleggio padre) dove solo pochi lavoreranno e
gli altri saranno mantenuti da un assegno
sociale.
Al posto del lavoro, dunque, la pensione .... una pensione di sussistenza a
35 o 40 anni (contro cui un davvero
lungimirante Pannella si scagliò in un celebre comizio bolognese nel 1987,
criticando come schiavizzante il concetto stesso di pensione per tutti) che
consenta di tradurre, oggi, la follia ideologica delle baby pensioni ora veicolata come reddito di Stato e che, come tale, non può che perdere per strada
la dignità ed il significato etico e spirituale del reddito, che è tale solo
dove c’è lavoro.
Ma
se l’obiettivo vero, invece, non è il reddito
per tutti ma il lavoro per tutti
e se il lavoro buono, l’economia sana
è quella prodotta dai tanti buoni
imprenditori, ecco allora che l’analisi del Papa diviene autenticamente
liberale, nel senso, oserei dire, dell’esito già delineato da Carlo Rosselli (nel
suo Socialismo Liberale), allorquando
evidenzia che il moto sociale scevro da condizionamenti anti storici non può che
esitare in moto di libertà: una
libertà creativa che produce bene comune, riscatto sociale.
Anche
così, in ultima analisi, può essere interpretata la critica di Francesco allo speculatore, a quella economia astratta, priva di comunità, di
fatica e sudore che piega la concretezza vitale alla irrealtà di una economia
di calcolo che pianifica – tanto nel capitalismo
di rapina che nell’ambito dello statalismo
illiberale - risultati e progetti, senza fare i conti con
dignità, rispetto, onore, libertà.
Ed
in ciò mi sembra che il Papa incroci anche l’Hayek
nemico, appunto, di quella razionalizzazione
dell’economia che struttura ed incensa una capacità di previsione e di
anticipo (di speculazione, appunto)
in capo a presunte élites illuminate
mentre, invece, è l’anonimo agire sociale, il sacrificio dell’imprenditore “primo
operaio”, il gioco regolato (ecco il compito
dello Stato non burocratico), il valore del Contratto, che contraddistinguono
la Società Aperta e “comune” dalle fantasie
distopiche e dirigistiche del reddito
senza lavoro, nuova via verso la schiavitù degli elemosinanti.
Enzo Musolino
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