Le
inquietanti notizie degli ultimi giorni (http://ildispaccio.it/primo-piano-2/143196-reggio-paura-nella-notte-uomo-entra-in-gelateria-sottozero-e-fa-fuoco) ci raccontano di rinnovati attentati
alla libera impresa da parte della
Ndrangheta in Calabria.
In un tessuto economico privato
fragile che punta sui servizi turistici,
la criminalità organizzata, nel tentativo di strutturare un monopolio forzoso
sulla movida estiva, interviene con
fare violento ed intimidatorio per impedire la stipula di contratti, l’apertura
di nuove aziende e per continuare a rivendicare l’infame diritto al “pizzo”, alla tassa del crimine.
Non solo, quindi, l’aggressione
continua ad aziende sane “pesanti” come quelle, ad esempio, impegnate nel porto di Gioia Tauro e che
coraggiosamente cercano di operare per far sì che questa grande infrastruttura non
sia solo un crocevia internazionale per
la cocaina (http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/8070)
ma, ormai, anche le imprese
artigianali sono coinvolte in dinamiche para
terroristiche naturalmente estranee al rischio di impresa e che affossano –
più della crisi – ogni velleità di rinascita di uno dei tanti territori, progressivamente desertificati, del
nostro Sud.
Lo stesso, in vero, lo abbiamo visto
all’opera ad Ostia (http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/06/11/news/cosi-funziona-la-mafia-di-ostia-1.168949) e diversamente ma, purtroppo, nella stessa
triste direzione di violenta
interposizione tra domanda ed offerta di mercato, l’influenza nefasta della criminalità sulle
imprese è emersa, nel corso degli ultimi anni, anche nel Nord Italia - con la rilevazione e la gestione “pompata” dalle
necessità del riciclaggio di attività commerciali in crisi (http://gazzettadireggio.gelocal.it/reggio/cronaca/2017/03/21/news/rosy-bindi-la-ndrangheta-parla-anche-emiliano-1.15062664) - ed addirittura nel Nord Europa con gli investimenti
immobiliari dei clan soprattutto in
Germania (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/11_Novembre/12/valentino.shtml).
Ora, aldilà delle importantissime
ricadute di Giustizia e delle implicazioni morali e personali che hanno
coinvolto tante vittime innocenti di
tali soprusi, il quadro generale su delineato individua il libero mercato come ulteriore vittima
di mafia, quale cultura del merito e della concorrenza vissuta come alternativa e destabilizzante da un
Potere che si pregia di “chiudere” e soffocare i territori con la rigida
applicazione di regole arcaiche, con l’imposizione di confini di competenza, con balzelli simil corporativi e limiti imposti, con la forza, alla libertà di
intrapresa e alla crescita individuale e sociale.
A questa chiusura imposta a forza di intimidazioni e kalashnikov si accompagna, in aggiunta, la pervicace ed infruttuosa
presenza - nel nostro Sud - di un’economia
pubblica fondata su trasferimenti poco trasparenti - magari “legittimati”
dall’obiettivo di innalzare capannoni pseudo
produttivi (spesso made in Lombardia
ed Emilia) - e sulla gestione
clientelare di favori e posti di lavoro, in cambio di consenso e voti, da
parte di potentati politici, vere e
proprie consorterie spregiudicate
dedite al trasformismo più becero.
La forbice
nefasta, dunque, si chiude pericolosamente a tagliare le ali ad ogni
afflato libero di vera cultura di mercato, impedendo l’accesso a fondi, al
credito, all’interlocuzione pubblica garantita da criteri obiettivi a tutti quegli imprenditori – miracolosamente presenti, non si sa per quanto
tempo ancora, pure alle nostre latitudini - che rivendicano orgogliosamente
autonomia e chiedono rispetto per un’ operosità finalizzata al giusto profitto;
un profitto – che non è un furto ma,
troppo spesso, è espropriato e spolpato - conquistato con la fatica, il risparmio, l’investimento
produttivo che genera quell’ordine di mercato e quella libera organizzazione
sociale che Adam Smith chiamò “Grande
Società” e Karl Popper, la “Società
Aperta”.
L’art
2082 del nostro codice civile liberale –
un miracolo d’eccezione sfuggito, nel 1942, alla completa fascistizzazione del diritto – non definisce l’impresa in astratto ma, piu’ concretamente, l’imprenditore, focalizzando l’attenzione normativa sulla libertà
dell’individuo, sullo spirito e sulla carne
viva coinvolti in un progetto – rischioso - sempre aperto sulla voragine tanto
del successo che del fallimento.
E l’imprenditore
è propriamente colui che organizza ed esercita – in libertà, appunto –
un’attività finalizzata alla produzione e allo scambio e che realizza – inintenzionalmente – una ricchezza
reciproca, una ricchezza sociale.
Ed anche questo tipo umano è protagonista e vittima delle dinamiche del nostro Paese;
protagonista e vittima di un’epopea ancora in
fieri: l’artigiano in abiti da lavoro che lotta – con la sua vita e la sua
opera – contro gli appetiti parassitari e
tiranni di colletti bianchi e neri,
contro le cravatte e i cravattari di
Stato ed Antistato.
Enzo
Musolino
Nessun commento:
Posta un commento