“IN GOD WE TRUST” ED IL
FRAINTENDIMENTO DELLA TEOLOGIA POLITICA
Il recente
articolo di Civiltà Cattolica - Fondamentalismo evangelicale e integralismo
cattolico, un sorprendente ecumenismo (http://www.laciviltacattolica.it/articolo/fondamentalismo-evangelicale-e-integralismo-cattolico/) – scritto a quattro mani da padre Antonio
Spadaro, direttore della rivista dei
gesuiti, e dal pastore presbiteriano Marcelo Figueroa, direttore dell’edizione argentina dell’Osservatore Romano, assesta
davvero un duro colpo all’esperienza religiosa contemporanea in America.
L’articolo, che
ha avuto un’immediata diffusione ed è stato ed è oggetto di plurimi e diversi
commenti anche oltreoceano, concentra la sua critica sull’influenza della
religione nei processi politici, sull’individuazione del nemico pubblico, attraverso la rappresentazione esemplare del
“manicheismo” dei presidenti Bush e Trump.
Gli autori
sembrano contestare, in fondo, la possibilità stessa di una teologia politica
in ambito cristiano e – pur non citandolo espressamente – utilizzano le
riflessioni di Erik Peterson contenute
nell’ormai classico “Il monoteismo come
problema politico” (1935), saggio scritto in risposta polemica, appunto,
alla “Teologia Politica” di Carl
Schmitt (1922).
Secondo tale
impostazione una teologia politica in
ambito cristiano non sarebbe possibile, non sarebbe “ortodossa” in quanto è
l’escatologia, il Regno di Dio, lo schema teologico proprio che guida l’impegno
storico dei cristiani. Un Regno evidentemente intraducibile in ambito mondano,
che anzi lo sconfessa e che, come tale, non può legittimare alcun
potere costituito.
Tale approccio,
profondamente legato al puro teologico, è poi davvero così
neutro come appare?
Gli escatologici ortodossi che si oppongono
al semplicismo apocalittico degli americani – tanto degli evangelici
“fondamentalisti” quanto dei cattolici
“integralisti” impegnati nella narrativa del conflitto e della “guerra
spirituale” - sono davvero impolitici? Sono davvero lontani dalle
decisioni contingenti sulle res mixtae, sulle
innumerevoli materie e terre di confine tra fede e politica?
Ed è davvero
credibile un disimpegno civile della sfera religiosa e del suo contenuto
pubblico ed universale fino all’estromissione – attraverso la retorica del
dialogo e della diplomazia che “non vuole dare ne’ torti ne’ ragioni”- dello
stesso concetto di avversario della fede?
In realtà – ed occorrerebbe avere il coraggio di
rivendicarlo – i gesuiti, ed anche e ad un livello diverso il Papa, prendono
continuamente parte nell’ambito dei principali dossier teologico politici contemporanei: dalla battaglia spirituale in
atto tra secolarismo e fideismo, allo scontro tra cristianesimo, neo paganesimo
e nichilismo fondamentalista.
Nel concreto e pragmaticamente la Chiesa, oggi come
nel passato, sceglie e decide perché – da San Paolo in poi – è conscia che questi
in corso non sono gli Ultimi Tempi ma
solo i Penultimi e che occorre
viverli pienamente, senza cedere al risucchio
escatologico e al disimpegno fatalista perché – come aveva da ultimo ben
intuito Bonhoeffer – “ i cristiani che stanno sulla terra con un solo piede, staranno con un
solo piede anche in paradiso”.
La teologia politica del papato di Francesco, ad
esempio, è assolutamente aderente a quella dei suoi predecessori novecenteschi
e si basa essenzialmente sulla desacralizzazione del potere mondano, sulla sua
riduzione a servizio per il bene comune,
rigettando le tentazioni gnostiche di edificazione d’un paradiso in terra, di
una qualche forma di regno pacificato dei
giusti.
Ora, se ciò
emergesse in maniera più limpida ed il coinvolgimento tra teologia e politica
accettato per quello che è: un elemento naturale ed imprescindibile delle
dinamiche storiche anche contemporanee, allora – aldilà della colta retorica
purista di Civiltà Cattolica – affiorerebbero
più evidenti le aporie di un approccio teopolitico
legittimo ma criticabile che - sottodimensionando il ruolo morale e politico
d’influenza e di interconnessione
pubblica della Chiesa anche in Europa (davvero insostenibile, poi, nell’Italia che vede addirittura ancora
oggi un poderoso intreccio economico tra Stato e Chiesa, attraverso il
meccanismo fiscale dell’8 per mille) - sbaglia obiettivo polemico e avversario prendendosela con l’ecumenismo
militante americano.
Infatti, l’antiamericanismo
di fondo e la poco argomentata critica alla “libertà religiosa” – vissuta in realtà in America dai tanti
attori religiosi come un vessillo che, spesso, nel solco della complessità
arricchente e non solo dell’ottuso manicheismo, viene tradotta come libertà di professare una religione nella
religione – rischia di confondere i cristiani europei già profondamente compromessi
in un processo di secolarismo annichilente e di declino e che, invece,
avrebbero davvero bisogno di assorbire quell’ottimismo, spontaneità e
“prosperità” d’approccio che gli autori dell’articolo, invece, sembrano
aristocraticamente rimproverare agli americani.
E se è vero che certe tendenze apocalittiche
evangeliche e l’imminente attesa di un Armageddon,
di una resa dei conti epica e finale tra bene e male, risultano evidentemente grossolane
e riduzionistiche, non si può onestamente giungere ad affermare che esista una
stessa fonte culturale che abbevera tanto l’immaginario degli jihadisti, dei taglia gole, che quello
dei telepredicatori della “destra”
conservatrice alle prese con il marketing
religioso.
E
ciò perché se è vero che la rappresentazione di un Trump “neo Costantino”
chiamato a difendere l’Occidente sotto attacco è quanto mai ridicola,
è pur vero – ed è bene asserirlo – che il linguaggio forte e religiosamente
orientato di Reagan contro l’impero del male (inaugurato con il celebre discorso agli evangelici dell’8 marzo 1983)
seppe interpretare in funzione liberante le tante energie concusse dell’Est
europeo; energie “religiose” che l’ateismo di Stato e l’indifferentismo morale
aveva ridotto nelle catacombe senza però riuscire ad estinguere la chiara
individuazione – tra i perseguitati – “di ciò che è bene e di ciò che è male”.
Ora, tale complessità, purtroppo, viene artificiosamente negata nell’articolo
in questione e, proprio per questo, la stessa libertà religiosa in America viene completamente fraintesa.
Una libertà
religiosa che non può essere ridotta –come fanno gli autori – a pericolosa
“religione in libertà” che sfida la laicità dello Stato e ciò perché – e da ultimo
è stato Dario Antiseri a ricordarcelo nel suo ultimo saggio – la laicità dello
Stato è propriamente una “invenzione cristiana” e solo il Dio della Bibbia e del Vangelo relativizza davvero il potere politico – smitizzando ogni Cesare – e desacralizza la natura, svuotandola di idoli e miti, per
renderla pronta al libero intervento umano, all’indagine scientifica laica,
appunto, e libera dai timori reverenziali e fatalisti di animisti e
conservatori.
Se non l’ecumenismo americano quale, dunque, il
nemico? L’hostis humani generis
contemporaneo? Quale il vero e pericoloso obiettivo polemico completamente sottovalutato da Civiltà Cattolica? È davvero
il nichilismo islamista il problema
teologico politico contemporaneo! E’ lì che propriamente alligna lo gnosticismo
giustizialista che intende – avversando ogni modernità, laicità e relativismo
occidentale – realizzare se non proprio una teocrazia
escludente (come per il califfato nero dell’Isis) almeno una democratura illiberale (come per il
sultanato di Erdogan) fondata sugli istinti identitari e difensivi di chi si sente aggredito dal progresso spirituale
e civile.
Per tutto questo, a mio parere, l’articolo del
padre gesuita e del pastore presbiteriano sbaglia bersaglio, confonde amici con
nemici e non rende giustizia al variegato e vivacissimo spirito religioso
americano, il cui magari ingenuo “Vangelo della prosperità” non può essere
confuso con le bandiere nere dell’odio e della misoginia barbara.
Insomma, dalla
“Democrazia in America” dell’europeo Alexis de Tocqueville ne è passata di
acqua sotto i ponti (1835/1840) ma conviene ancora oggi rifarsi a quella
analisi per tentare di cogliere attraverso l’acutezza di un approccio schiettamente
liberale - per molti versi purtroppo negato dall’articolo in questione – quel
peculiare liberalismo sostanzialista e “religioso” d’America che ha ancora
tanto da insegnarci.
Enzo Musolino
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